Che cosa hanno in comune Soave e Santorini? I vini di origine vulcanica. E così questi due territori così diversi, il primo situato tra le colline a est di Verona e il secondo in pieno mar Egeo, saranno i protagonisti di un progetto di valorizzazione dell’agricoltura vulcanica, denominato Heva, the volcanic heroes of Europe, assieme a un altro consorzio scaligero, quello del formaggio Monte Veronese dop. Finanziato nell’ambito del programma europeo 1144, prevede un programma di appuntamenti promozionali delle denominazioni d’origine del Soave, del Lessini Durello, del formaggio Monte Veronese e dei vini di Santowines dall’isola di Santorini, che saranno partner per tre anni con sei Paesi target: Germania, Svezia, Olanda, Spagna, Grecia e Italia.
Il ProWein di marzo doveva essere il punto di partenza di questo programma, che a causa della pandemia è stato congelato ma non archiviato. A Soave, sede del consorzio di tutela che unisce quattro denominazioni e due strade del vino, si attende la ripresa delle normali operazioni per poter comunicare le caratteristiche di un territorio unico, proprio per la sua origine vulcanica, e particolarmente vocato per il vino, come testimonia anche il numero di bottiglie prodotte nel 2019: ben 47 milioni. “Stiamo lavorando anche al regolamento del marchio Volcanic Wines, che appartiene al Consorzio del Soave, per potere assicurare la reale provenienza da suolo vulcanico dei prodotti che lo esporranno e per potere quindi rafforzare ulteriormente la categoria”, commenta il presidente del Consorzio del Soave, Sandro Gini.
Intanto la situazione delle aziende aderenti al consorzio, tra le quali spicca per fatturato il colosso Cantina di Soave (122 milioni di ricavi, quasi la metà del totale della denominazione), è abbastanza confortante, considerando le perdite medie del comparto vinicolo. Nei primi dieci mesi, il Consorzio stima un calo del 4% e punta a chiudere l’anno in linea con il 2019, per effetto della maggiore richiesta legata alla fine d’anno e trainata dalla grande distribuzione. Ma Soave non è solo mass market. Si sta infatti consolidando una produzione di nicchia legata alle cosiddette Unità geografiche aggiuntive, entrate in disciplinare all’inizio di quest’anno, e che rappresentano delle menzioni aggiuntive all’interno della denominazione Soave che storicamente sono state valorizzate dalle singole aziende e dal Consorzio per la particolare capacità di produrre vini con una forte caratterizzazione della zona pedoclimatica nella quale nascono. È il frutto di un lavoro di zonazione durato vent’anni e che ha portato le aziende a reclamare quest’anno 3,5 milioni di bottiglie legate alle Unità geografiche aggiuntive. A oggi sono 23 le unità riconosciute già rivendicate dalle aziende che vi operano, su 33 totali: ne restano quindi altre dieci da rivendicare. E queste produzioni sono destinate a diventare il vertice della piramide qualitativa del Soave.
Il primo mercato del Soave è la Germania, che precede la Gran Bretagna, l’Italia e gli Usa. A seguire Canada, Giappone e Paesi scandinavi. Il 60-65% della produzione è destinato alla grande distribuzione organizzata, che indubbiamente per il 2020 ha rappresentato la salvezza dei vini prodotti a Soave e negli altri 12 comuni inseriti nel disciplinare della denominazione. Il 70% dell’uva viene gestita dalle grandi coop del territorio che sono Cantina di Soave, Collis, Monteforte d’Alpone e Vitevis. A queste cantine sociali fanno capo tremila famiglie, a cui le coop assicurano reddito e continuità di lavoro. “E indubbiamente il sistema delle cooperative sta facendo la sua parte nell’aumento della qualità, tanto che ognuna ha reclamato la propria Unità economica aggiuntiva. E sta utilizzando questo strumento in maniera utile dal punto di vista della comunicazione”, affermano al Consorzio.