I distributori di vino per l’horeca hanno fatto un sell-in superiore al 2019, estate e settembre compreso. Anche l’autunno è iniziato bene, dato che i ristoranti rimangono la (quasi) unica destinazione leisure
di Vanna Assumma
Altro che crisi, verrebbe da dire, il mercato del vino è più pimpante che mai. Sui tavoli imbanditi dei ristoranti i bicchieri sono sempre pieni. Malgrado l’idea che l’emergenza sanitaria porti con sé un senso di morigeratezza, quest’estate (e settembre compreso) c’è stata una sorta di revenge post- lockdown, con incrementi di ordini a due cifre da parte dei ristoratori di fascia medio-alta e alta. Questo non vuol dire che si è recuperato totalmente il fermo dei tre mesi del lockdown, ma il mercato dei vini si è rimesso a correre, e, sorprendentemente, addirittura più che nel 2019. A rigor di logica, viene da pensare che, in un’Italia preoccupata dalla diffusione del Coronavirus, la voglia di brindare e di consumare pasti fuori casa sia comunque limitata. A questo si aggiunge la misura di distanziamento tra i tavoli all’interno dei ristoranti che ha portato a una riduzione dei coperti e, quindi, si potrebbe dedurne, a un conseguente calo del consumo dei vini. La realtà invece è stata diversa e, per comprendere l’andamento apparentemente illogico del ‘ruggito’ di questa categoria, Pambianco Magazine Wine&Food ha intervistato i principali player italiani della distribuzione horeca. Ne è emerso che, nei mesi estivi, complice la possibilità di occupare suolo pubblico, giardini, dehors ed esterni, è stato ampliato il numero dei tavoli dei locali nei luoghi turistici e vacanzieri. L’ha confermato Corrado Mapelli, coo e membro del consiglio di amministrazione del Gruppo Meregalli: “La ripresa si è concentrata in provincia, non nelle città, e in tutte le località turistiche. Ed è stata davvero una grande risalita: da gennaio ad aprile il fatturato della nostra azienda era sceso del 65%, mentre a fine settembre siamo arrivati a -10%, recuperando quindi un forte gap”.
INCOGNITA AUTUNNO
Un discorso diverso invece va fatto per i mesi autunnali. La ristorazione coinvolta in questo periodo non è più quella dei luoghi di villeggiatura ma delle città di residenza, e quindi sembrerebbe cadere il vantaggio che hanno avuto i ristoranti e cioè la possibilità di usufruire di spazi all’aperto per attrarre clientela. Circostanza che nelle città è già più ridotta rispetto alle località turistiche, e che, con l’approssimarsi della stagione fredda, si riduce ulteriormente. Nelle città però, si sta verificando un altro fenomeno che spinge gli italiani a sedersi sotto una tovaglia inamidata fuori casa. “Sempre a causa delle restrizioni imposte nei locali chiusi – afferma Pietro Pellegrini, presidente di Pellegrini – i cittadini non hanno molte occasioni di svago la sera. Si va poco al cinema, a teatro, agli eventi sportivi. Cosa rimane? Il ristorante. Una bella cena fuori casa è praticamente la quasi unica possibilità di concedersi una coccola, un momento di socialità, seppure con le dovute precauzioni”. Il distributore di Cisano Bergamasco (Bergamo) ha ricevuto nello scorso mese di settembre ordini superiori del 10% a quelli del settembre 2019, “che sono venuti in gran parte dalle città, a conferma dell’importanza che acquisiscono i ristoranti come meta del fuori casa. Va detto che in un momento come questo – conclude Pellegrini – i distributori di vini sono favoriti perché i ristoratori hanno convenienza ad acquistare da noi piuttosto che dai produttori, in quanto possono comprare minori quantità di bottiglie allo stesso prezzo”. Se settembre è andato bene, rimane l’incognita dell’autunno inoltrato e del periodo natalizio. La spinta del ristorante come meta ‘out of home’ dovrebbe rimanere, ma l’incognita è l’aggravamento della situazione sanitaria, che potrebbe determinare un clima di maggiore paura e portare alla riduzione delle uscite serali. “Non prevediamo un autunno da ricordare – sottolinea Mapelli – perché il consumo nelle città sarà diverso. A settembre abbiamo avuto una crescita del 32% dei vini e del 16% degli spirits, e presumo che nei prossimi mesi sarà difficile crescere ancora. Se la ristorazione manterrà tutte le misure precauzionali che infondono tranquillità nei clienti e la diffusione del virus non dovesse peggiorare, mi aspetto una chiusura anno stabile, che porterà ad archiviare il 2020 con un segno ‘meno’ a una cifra”. Dello stesso parere è Carlo Alberto Sagna, responsabile commerciale di Sagna: “Presumo che non ci saranno più le percentuali bulgare che abbiamo visto quest’estate e si attenuerà l’esplosione delle vendite, anche perché ci sarà una maggiore pressione promozionale con politiche commerciali sui vini più aggressive”. Anche per Sagna il mese di settembre 2020, rapportato allo stesso periodo dell’anno scorso, ha registrato + 26% a volume e +38% a valore. In vista del periodo natalizio, Giacomo Miscioscia, co-founder e ceo della foodtech company The Winesider, solleva un altro problema, e cioè che tutte le attività legate alle festività, ovvero cene aziendali, eventi nei ristoranti, brindisi prenatalizi, potrebbero subire limitazioni. La piattaforma, che offre i vini in conto vendita e svolge attività di consulenza e formazione dei team di sala, ha uno spaccato diretto del sell out dei locali. “Considerando – illustra Miscioscia – il sell out dei ristoranti a perimetro costante su Milano, una quindicina, si osserva che a maggio 2020 i ricavi dei vini erano in calo del 92% mentre a settembre hanno recuperato chiudendo a -17%”. Bollino nero invece per la vendita dei vini agli hotel: negli ultimi anni la ristorazione all’interno degli alberghi è cresciuta molto a livello qualitativo, alcuni 5 stelle si sono accaparrati grandi chef, addirittura stellati, diventando così un polo di attrazione per l’ospitalità a 360 gradi. “Purtroppo il virus ha rallentato la riapertura degli hotel – conferma Sagna – e quest’anno presumo che registreremo una quota del 5% di fatturato con l’hotellerie, contro il 20% di prima”.
LO VOGLIO (UN PO’) PIÙ CARO
Scendendo nello specifico dei vini più richiesti da giugno a settembre, Miscioscia cita Ribolla Gialla, Gewurztraminer e Chardonnay, mentre passando alle previsioni per i prossimi mesi, Mapelli ritiene che la scelta del consumatore si stia leggermente spostando verso il mercato premium. Si spende un po’ di più ma non troppo, come si evince dalle affermazioni di Pellegrini: “Ci sono avvisaglie che i vini di fascia molto alta siano quelli che patiscono di più. Il motivo è che venivano acquistati soprattutto dai turisti, americani e russi in primis, che avevano un’elevata capacità di spesa e che ora non arrivano più in seguito alle restrizioni sui voli”. La richiesta di vini leggermente più cari è confermata anche da Sagna, che ha avuto una crescita del fatturato a settembre (+38%) superiore al numero delle bottiglie vendute (+26%), fatto che conferma il trend verso prodotti a qualità più elevata. “Il motivo è legato al fatto – afferma Sagna – che gli italiani non sono andati all’estero, hanno una maggiore disponibilità di spesa e si concedono quindi una bottiglia ‘speciale’. In particolare, si nota un balzo dello Champagne che segna +56% a volume“. Il trend dello Champagne, confermato anche da altri distributori, è un po’ inaspettato perché durante il lockdown il consumo delle bollicine si era fermato non essendoci molte occasioni per festeggiare. Successivamente, in linea con il desiderio di cenare fuori casa e di concedersi qualcosa di speciale, lo sparkling wine francese è tornato alla ribalta, allargando anche il target di consumatori: “Lo Champagne è consumato sempre più dai giovani – conclude Sagna – che si stanno avvicinando a una cucina più elevata e a un bere di qualità”.