Il Prosecco doc Rosé, al debutto quest’anno, apre ulteriori prospettive di crescita per la bollicina che ha imposto l’Italia nel mercato mondiale della spumantistica e che ha trainato la crescita dell’export vinicolo nazionale negli ultimi anni. In questo filone si è inserita Ponte 1948, realtà cooperativa da 70 milioni di ricavi nel 2019, frutto dell’unione realizzata gradualmente dalla cantina sociale di Ponte di Piave (Treviso) con le omologhe di Eraclea e Caposile nel Veneziano e di Villorba nel Trevigiano. In fatto di rosé, Ponte 1948 può vantare una storia consolidata perché, come ricorda il general manager Luigi Vanzella: “La prima bottiglia ‘rosa’ ottenuta da un blend di Glera e Pinot nero l’abbiamo lanciata nel 2007. Allora non potevamo chiamarlo Prosecco Rosé, perché il disciplinare è stato cambiato soltanto lo scorso anno, ma questo dimostra come in azienda ci siano costanti attenzioni per le novità”. Lo conferma anche l’avvio di un new brand, Choose, dedicato alla mixology a basso contenuto alcolico, con la realizzazione di cocktail pronti al consumo preparati a base di vino.
I programmi di Ponte 1948 sono ambiziosi. Il gruppo parte da numeri importanti: 3mila ettari vitati, oltre 500mila quintali di uve conferite dai soci, 15 milioni di bottiglie (per due terzi Prosecco) ottenute con l’impiego di un terzo del vino prodotto, mentre gli altri due terzi vengono commercializzati e destinati a imbottigliatori esterni. Le previsioni sono di una crescita pari a circa un milione di bottiglie l’anno nei prossimi cinque anni, arrivando entro il 2024 a 20 milioni di bottiglie. I brand aziendali sono Ponte, Campe Dhei, Giò, Terre del Doge, Villa del Re e Solatio, quest’ultimo marchio leader in Olanda e del quale Ponte 1948 ha acquisito i diritti in esclusiva. Si aggiunge una label dedicata alla grande distribuzione come Cantina Trevigiana, ben presente in Esselunga.
“Ci sono forti investimenti all’orizzonte – precisa Vanzella – e sono legati alla parte produttiva e al confezionato. Abbiamo la materia prima, e non è un fatto marginale. Con il controllo dalla vigna alla bottiglia, ci sono tutte le possibilità di trasformare l’uva in vino etichettato e oggi stiamo girando al massimo delle capacità, distribuendo il lavoro su tre turni dal lunedì al sabato pomeriggio. Il consiglio di amministrazione, con a capo il nostro presidente Giancarlo Guidolin, crede nelle possibilità di crescita dell’azienda e ha approvato i piani, stanziando un investimento cospicuo in strutture e inserimento di personale qualificato”.
Il gruppo dispone oggi di resident manager in Germania e Gran Bretagna, ha un brand ambassador a Singapore che segue tutta l’Asia, Giappone escluso, e il prossimo anno potrà aggiungerne uno per gli Stati Uniti. La spumantistica fa da traino, può contare su 40 autoclavi per la fermentazione a metodo charmat e altri tre sono in fase di inserimento. Nel frattempo, pur rappresentando ancora una quota marginale della produzione, cresce il vino bio: “Viene richiesto soprattutto nei Paesi di lingua tedesca e in nord Europa. I tender dei monopoli scandinavi premiano le selezioni bio con punteggi molto alti, perché entro il 2021 vogliono raggiungere una quota pari al 40% dell’importato complessivo”, sottolinea l’export manager Gabriele Fasan. Il 65% della produzione imbottigliata prende la via dell’estero, dove esce solo nel canale horeca.
Per il 2020, le previsioni non sono affatto negative. “A maggio – rileva Vanzella – avevamo una flessione significativa di confezionato, più che compensata dalle vendite ottenute durante l’estate. A fine ottobre avrei osato sperare in una crescita del fatturato a fine anno, ma ora la situazione è diversa. Puntiamo comunque a confermare il risultato dell’anno scorso”.