Parola alle associazioni. Come sarà il futuro di ristoranti, alberghi e locali notturni a partire da questa estate? Si parla di menù ridotti, cibo d’asporto, vacanze di prossimità e digitale. Le incertezze rimangono molte, ma nel 2021 si tornerà a sorridere
di Sabrina Nunziata
Cosa resterà, dell’estate del 2020? È questo il banco di prova che vede le realtà italiane della ristorazione, dell’intrattenimento, dell’accoglienza tornare in pista dopo mesi di chiusura forzata. La ripartenza, così agognata, si colloca però tra incudine e martello. Da un lato, la voglia, tanto delle imprese quanto dei consumatori, di riappropriarsi delle proprie abitudini, fatte di aperitivi, gite fuori porta, serate e via discorrendo. Dall’altro, l’emergenza sanitaria, la prudenza e la paura di una ricaduta, con conseguente ennesimo lockdown. L’estate, quindi, sarà una sorta di test, ma senza possibilità d’errore. Ristoratori, albergatori e in generale tutti gli imprenditori del campo turistico dovranno adottare nuovi modelli che con ogni probabilità saranno destinati a consolidarsi nel tempo. Chi riuscirà ad evolversi sopravviverà, per gli altri, invece, è ancora tutto da vedere.
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“Questa pandemia ha colpito al cuore la socialità in tutte le sue espressioni, andando così a compromettere un modello d’accoglienza, quello italiano, basato sull’esperienza, sull’autenticità e sulle piccole e medie imprese”, ha spiegato a Pambianco Wine&Food Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe, la federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio. “Questa estate bisognerà puntare molto sull’esterno, cercando di dare ai pubblici esercizi la possibilità di vivere gli spazi pubblici, magari chiudendo strade e piazze, in quanto i luoghi chiusi rappresenteranno ancora un freno”. In ogni caso, la “psicosi continuerà anche nei prossimi mesi, e finché il turismo estero non riprenderà, bisognerà concentrarsi sul mercato interno che sarà inevitabilmente caratterizzato da una minore propensione e capacità di spesa”. In questo contesto, pertanto, “l’online e il mondo digital daranno un aiuto enorme”, in primis “per trovare nuovi clienti, e quindi recuperare i fatturati”, ma anche per agevolare le ordinazioni e i pagamenti tramite app, e per organizzare meglio una parte del lavoro che diventerà imprescindibile, ad esempio quella riguardante i servizi di delivery e asporto. “Quelli che continueranno a ritenere il ristorante un posto rischioso, utilizzeranno casa propria come luogo di consumo. Pertanto, le attività di delivery e d’asporto diventeranno tratti distintivi della nuova ristorazione, complice anche il fatto che, visto il distanziamento che si dovrà adottare all’interno dei ristoranti, verranno inevitabilmente persi dei coperti”. Proprio per questo, “anche la struttura fisica dei ristoranti cambierà, bisognerà rivedere gli arredamenti e pensare di predisporre un’area dedicata per agevolare il take-away”. Inoltre, “bisognerà rendere i processi più funzionali e anche il personale diminuirà”. Secondo una recente indagine effettuata dall’ufficio studi di Fipe, infatti, i ristoratori stimano un crollo del 55% dei loro fatturati a fine anno, il quale si tradurrà in un minor impiego di personale, con un calo del numero dei dipendenti del 40%, con 377mila posti di lavoro a rischio. Persino l’offerta culinaria dovrà subire delle modifiche. “I piatti dovranno essere semplificati e ridotti di numero, così da concentrarsi su quelli per i quali si potrà avere un controllo maggiore. Bisognerà prestare ancora più attenzione ai fornitori e allo stoccaggio delle materie prime, così da garantire freschezza, qualità, flessibilità e soprattutto sicurezza, prediligendo quindi i prodotti del territorio e la stagionalità. Dovremo riappropriarci di una tradizione da rivedere in chiave creativa”. La sfida sarà quella di presentare “un piatto di qualità a un prezzo giusto” e tutto ciò “rappresenterà un valore condiviso per quando saremo pronti a ripresentarci sul mercato internazionale”. La ripresa, quella vera, “partirà quando tutti ripartiranno. Se tutto va bene, si potrà vedere qualche segnale a fine anno, ma in generale dovremo aspettare la prossima primavera. Ma, per arrivarci, abbiamo davanti molti mesi di lotta alla sopravvivenza”.
VACANZE DI PROSSIMITÀ
Più complessa è la situazione che riguarda il mondo alberghiero, per il quale l’effettiva ripartenza dipende soprattutto dall’afflusso turistico. “Per questa estate nutriamo tanta speranza e altrettanta preoccupazione”, ha spiegato Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi. “Gli elementi oggettivi ci dicono che gli stranieri saranno molto pochi, mentre il mercato italiano oscilla tra la voglia di uscire e di ritornare alla normalità, e il freno imposto da una serie di fattori”. Dall’inizio della pandemia, infatti, una quota di italiani ha dovuto attingere alle ferie per rimanere a casa, esaurendo o limitando i giorni a propria disposizione. Poi sono stati introdotti gli ammortizzatori sociali, che hanno limato e limano tuttora le entrate, e a ciò si aggiunge la possibilità che molte aziende rimarranno aperte durante i mesi estivi, nella speranza di recuperare parte del tempo perso. Inoltre, non è ancora chiaro come saranno organizzati gli spostamenti sui mezzi pubblici e come saranno gestite le frontiere. In questo panorama, pertanto, “è possibile immaginare che saranno privilegiati i viaggi con mezzi privati e che quindi ci sarà maggiore spazio per il turismo di prossimità. Sempre che tutto vada bene e che non ci siano contagi di ritorno”. In ogni caso, per l’anno in corso il settore alberghiero stima una perdita di circa il 70% del fatturato. “Noi speriamo di ritornare ai livelli pre-covid, e quindi a una situazione tipo quella del 2019, dalla primavera del 2021, dando ovviamente per scontato che tutto si sistemi e arrivi un vaccino”. Comunque, “per recuperare il fatturato perso nel 2020 ci vorrà sicuramente qualche anno”. Per quanto riguarda i cambiamenti che potrebbero in qualche modo modificare in via definitiva il settore, “io non sono tra coloro che dicono che nulla sarà più come prima. Penso che abbiamo cambiato delle abitudini e che quindi ci sarà un modo diverso di muoversi e, probabilmente, di relazionarsi”. Per esempio, durante il lockdown “ci si è resi maggiormente conto di come incontri, riunioni e conferenze siano possibili anche attraverso il video, e questo avrà un impatto sia a livello di eventi tenuti all’interno degli alberghi sia a livello di trasferte di più giorni, e quindi di ospitalità”. La tecnologia, d’altro canto, può anche agevolare l’organizzazione delle strutture e “la pandemia ha accelerato dei trend già in atto, come l’uso del web check-in e delle chiavi elettroniche su app”.
FEBBRE DEL SABATO SERA
Ancora più difficile è prevedere l’evoluzione strutturale e operativa che riguarderà i locali notturni, luoghi d’aggregazione per antonomasia. Il settore, infatti, trova nella stagionalità un motore non indifferente per il proprio business, e pensare di saltare, o comunque limitare drasticamente, la stagione estiva potrebbe portare alla chiusura definitiva di molte realtà. “Se dovessimo ipotizzare un’apertura a ottobre, infatti, è possibile che il 20% delle aziende non riaprirà, questa percentuale sale al 40% se si arriva a dicembre, e addirittura all’80% se si dovesse arrivare a marzo 2021”, ha raccontato Maurizio Pasca, presidente di Silb-Fipe, Associazione italiana imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo. Proprio per questo, l’associazione ha realizzato un protocollo di sicurezza da sottoporre al vaglio del comitato tecnico scientifico in cui ha proposto una serie di disposizioni per agevolare la ripartenza. Tra queste si conta l’utilizzo di bodyscanner per la misurazione della temperatura all’ingresso, la prenotazioni online in modo da avere il nome e il cognome dei presenti in sala, la sanificazione dei locali prima e dopo l’apertura. Ma non solo, “abbiamo anche proposto di ridurre il coefficiente di capienza, passando da 1.2 a 0.8, così da garantire il distanziamento sociale all’interno dei locali”. Per quanto riguarda l’estate, infatti, “bisogna tenere in considerazione la voglia dei giovani di tornare a riunirsi, chi può dire che non si aggreghino comunque magari affittando case o capannoni? Almeno nelle discoteche sarebbero sotto la responsabilità del locale, che ha nel proprio interesse garantire il rispetto delle regole, perché se così non fosse non potrebbe proseguire l’attività”.