Con le ghost kitchen, i ristoratori abbattono i costi di affitto e di gestione e aumentano il numero di clienti. Intanto si fa spazio la consegna diretta, perché le app si portano via gran parte dell’utile
di Giulia Mauri
Prima dell’emergenza, sebbene si stesse diffondendo in tutto il mondo e stesse lentamente iniziando a prendere piede anche in Italia, l’idea di “cucine fantasma” operative esclusivamente in funzione delle consegne a domicilio pareva ancora prematura. La pandemia ha indotto un brusco ripensamento delle abitudini di consumo e ha riportato in auge le potenzialità del food delivery, alimentato da laboratori attrezzati, dove operano chef e personale, senza alcuno spazio in cui accogliere clienti. Sarà la nuova scommessa della ristorazione per reggere il colpo inferto dal Coronavirus? Pambianco Wine&Food lo ha chiesto a quattro imprenditori che hanno variamente intepretato questo modello di business, tentando approcci a vantaggio del prosieguo dell’attività e prefigurando inedite prospettive.
RICONVERSIONI TEMPORANEE
“Quella che stiamo vivendo è una fase sicuramente complessa e impegnativa per il nostro settore, ma allo stesso tempo può rivelarsi anche fucina di idee e concept innovativi in termini di digitalizzazione e modelli che consentano di riavvicinarsi gradualmente al consumatore con un servizio che sia ancora più in linea con le sue nuove preferenze”, afferma Matteo Pichi, ceo e co-founder insieme a Vittoria Zanetti di Poke House. Una sperimentazione temporanea, legata alle contingenze, ha trasformato in ghost kitchen le sue cucine d’ispirazione californiana con sede a Milano, Arese e Torino. “Non solo – aggiunge Pichi –, le nostre cucine sono diventate anche dei veri e propri incubatori messi a disposizione per la creazione e il lancio di due nuovi virtual brand: My Maky e Greenery, complementari e in sinergia con l’offerta di Poke House. A cambiare è l’icona che il cliente si trova a poter cliccare nella scelta del proprio ristorante preferito a portata di clic”. È in questa direzione che Pichi intravede un futuro per le ghost kitchen, dal momento che “la crescita del food delivery e il desiderio da parte delle società di presentare un’offerta sempre più variegata potrebbe incentivarne la nascita, nonostante ad oggi siano una soluzione ancora poco sviluppata”.
EXTRA APP
Sembra allora perfettamente centrato il tempismo di Luca Guelfi che, in una Milano sospesa, ha investito in un nuovo progetto, concepito all’inizio del lockdown in previsione di scenari piuttosto ostili. Si tratta di Via Archimede, Gastronomia di Quartiere, la ghost kitchen inaugurata il 10 aprile e situata nell’omonima via, già colonizzata dall’imprenditore con quattro diverse insegne: Saigon, Canteen, Shimokita e Oyster Bar. Le specialità della tradizione culinaria nazionale, firmate dagli chef Emanuele Gasperini e Marco Fossati, sono preparate al momento dell’ordine e consegnate a casa, a prezzi ‘democratici’ (tra 3 e 12 euro), come fosse una vera e propria gastronomia tricolore casalinga, “virtuale con piatti reali”. L’elemento distintivo risiede nell’internalizzazione del servizio di consegna, effettuato dal personale senza appoggiarsi alle compagnie di delivery, che “oggi chiedono una fee elevatissima, pari al 30-35%”. Tra i vantaggi individuati, oltre al contenimento dei prezzi, vi sono anche una maggiore garanzia del rispetto delle norme igieniche e il mantenimento di un rapporto diretto, personale e confidenziale con la clientela. Gli ordini, infatti, non sono effettuati tramite app, bensì al telefono, con “una durata media delle conversazioni intorno ai 4-5 minuti, come se si ordinasse al tavolo”. In virtù dei feedback positivi ricevuti, Via Archimede rappresenta una formula che, secondo Guelfi, “si consoliderà nelle abitudini degli italiani. L’idea è che rimanga e che possa avere un seguito anche in futuro, ma senza una prospettiva di espansione, perché a me piace trasmettere emozioni all’interno di un ristorante, che non consiste soltanto nell’assaporare un piatto, ma anche nel vivere un’atmosfera e una situazione di socialità”.
BRAND ESPANSO
L’importanza del rapporto diretto con la clientela è sottolineata anche dal general manager di Giacomo Milano, Cristian Taormina, che già in tempi non sospetti si era avvicinato al concept americano delle ghost kitchen, per poi aprirne una dedicata al ritiro dei prodotti della Rosticceria e della Pasticceria a dicembre dello scorso anno. “Si tratta di un modello che si sta sviluppando in un momento storico purtroppo poco felice come quello attuale, ma bisogna cavalcare quest’onda perché, considerato il successo che sta riscontrando, probabilmente ce lo porteremo dietro anche una volta tornati alla normalità”, sostiene il manager. Mettendosi prontamente al passo con la ‘fase 2’, il gruppo ha anticipato l’apertura di Giacomo Gastronomia, un nuovo locale in piazza Amendola nato dalla volontà di coprire la zona ovest della città con i piatti e le ricette di sempre, ma accorciando le distanze per un servizio di consegna migliore. Parallelamente, nella Rosticceria di via Sottocorno è stata proposta una nuova linea di panini e di cocktail – Giacomo Farciti e Miscelati – riservata al delivery e al take away. La prenotazione avviene tramite Deliveroo, Glovo e Ubereats oppure chiamando o scrivendo un’email al locale che ha attivato anche un servizio di consegna diretto per “stabilire un contatto con il cliente e perché le piattaforme hanno una commissione piuttosto elevata che incide parecchio sui conti di un ristorante che tratta materie prime di alta qualità”. Infine, aggiunge Taormina, “siamo alla ricerca di spazi dove creare una ghost kitchen anche per il Ristorante Da Giacomo e Giacomo Bistrot, onde evitare la commistione con il servizio in sala nel momento in cui riapriranno i locali. Anche se è una scelta più dispendiosa, ci auguriamo che in termini di qualità e di prestazione ci possa premiare”.
FARE RETE
Come recita il proverbio, l’unione fa la forza. E aiuta in qualche modo ad alleggerire gli effetti della crisi economica che, secondo il Centro Studi della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), nel 2020 causerà al settore della ristorazione una perdita di 8 miliardi di euro. In funzione di questi dati e con un futuro per il food ancora incerto in cui saranno imposte nuove norme di sicurezza e distanziamento sociale, la startup foodtech Soul-K, affiancata da un gruppo di 14 ristoratori, che insieme gestiscono oltre 20 ristoranti, ha creato The Family, ristoratori uniti per te. Un modello di business innovativo che, attraverso la creazione di un brand collettivo e non competitivo, “evolve il concetto di ghost kitchen”, considerato da Andrea Cova, ceo della startup fornitrice di ingredienti alimentari semilavorati e di soluzioni digitali, particolarmente attuale. “Se ben costruito, può essere un’ottima chiave di ristorazione”, dichiara. Le ricette più richieste di ogni tipo di cucina sono scomposte nella sede di Soul-K e gli ingredienti freschi necessari a prepararle sono racchiusi in kit fai-da-te che vengono consegnati ai ristoranti, intesi come punti di prelievo capillarmente diffusi sul territorio, per ora lombardo. Dal 23 aprile il meal kit sono disponibili sulle app di Deliveroo, Glovo, Just Eat e Uber Eats al costo medio di 8-9 euro, “un valore quantificato intorno al 30% in meno di quanto proposto dal mercato”. La produzione centralizzata, infatti, consente soprattutto di avere “accesso a materie prime di alta qualità a prezzi molto concorrenziali, abbattendo di conseguenza il prezzo al consumo e facendo sì che al tempo stesso il ristoratore mantenga una buona marginalità, che era il nostro obiettivo primario”, conclude Cova.