Fare ristorazione non è impresa facile, soprattutto nelle grandi città. I dati dell’ultimo rapporto Fipe sull’andamento dei pubblici esercizi in Italia rivelano che il settore continua a crescere (+1,7%), ed è arrivato a 46 miliardi di euro nell’ultimo anno, che salgono a 84 miliardi considerando anche i bar, ma il tasso di mortalità si mantiene elevato: il 25% dei nuovi locali chiude entro un anno e il 57% lo fa nel giro di cinque anni. Il turnover è un fatto abbastanza normale nel comparto, riflette le trasformazioni della società e i gusti del cliente, ma ci sono aspetti che concorrono a rendere tutto più complesso, dal ricambio del personale ai costi ingenti di locazione. Un tempo era la gestione familiare del locale, di cui spesso si possedeva anche la proprietà immobiliare, a rappresentare il modello di sostenibilità economica. Oggi la ristorazione è un campo aperto, nel quale sono entrate holding e fondi di investimento che si contendono location di prestigio non solo per gli incassi che ne derivano, ma anche per imporre il proprio brand in chiave internazionale. Affrontando, peraltro, spese di avviamento sempre più consistenti per locali che diventano flagship di potenziali catene. In sostanza, il vincolo di bilancio si basa non tanto sulla singola location quanto in termini di gruppo, nel cui consolidato entrano in quota spesso importante le royalties del sistema franchising. Le spese però sono aumentate e questo ha imposto sia una gestione manageriale del locale, che non può più essere caratterizzato dalle inefficienze “storiche” della ristorazione, sia la necessità di aumentare gli incassi spalmandoli durante la giornata. I ristoranti hanno orari più flessibili e tengono aperta la cucina anche in orario pomeridiano, intercettando i flussi turistici; le caffetterie qualificano l’offerta della pausa pranzo e arrivano fino all’aperitivo; i bar diventano centri di aggregazione e coworking. La trasformazione è visibile, ma per realizzarla servono risorse finanziarie. Non si tratta di un sistema chiuso, perché possono sempre nascere nuovi brand, ma certamente servono progetti mirati per riuscire a distinguersi e poi, passaggio successivo, per trovare il giusto partner disposto a sostenere lo sviluppo.