L’incidenza delle consegne a domicilio nella capitale britannica è particolarmente alta, così come le commissioni richieste dalle piattaforme che si inventano sempre cose nuove, ad esempio la dining experience in elicottero. La testimonianza di due catene italiane presenti nella City: Sebeto-Rossopomodoro e Macellaio Rc
Appoggiarsi a società come Deliveroo o Uber Eats non è solo una forma di emulazione intelligente ma, al di là delle difficoltà, è anche il frutto di uno studio di mercato ragionato, ponderato, aggiornato: l’evoluzione dei consumi è, del resto, sotto gli occhi di tutti e in una capitale europea come Londra è stata così repentina, e per certi aspetti radicale, da assumere i connotati di una vera e propria rivoluzione. Ne abbiamo parlato con due catene italiane le cui radici sono ben salde lungo il Tamigi: Rossopomodoro e Macellaio Rc.
ESSERE RICONOSCIBILI
“Noi italiani dovremmo imparare a copiare, invece spesso ci accontentiamo di interpretare una versione così parodistica, caricaturale di noi stessi, che siamo i primi a non prenderci sul serio”. Sono queste le parole di Roberto Costa il quale, à rebours, dopo il successo della prima apertura londinese, nel 2012, in South Kensington e di quella, intermedia, del suo concept Macellaio Rc torna oggi a Londra dove rilancia, in Union Street, con The Butcher’s Theatre: “Noi italiani siamo fortissimi, e riconosciuti come tali, in molti anelli della filiera ma, soprattutto, in quello che sta alla base: il know-how di prodotto”. Del medesimo avviso Roberto Colombo, amministratore delegato di Sebeto, che controlla il marchio Rossopomodoro, secondo il quale: “Il made in Italy ha ragione di esistere quando, oltre alla qualità della materia prima, esiste una professionalità di mestiere: un’artigianalità reale e percepita. È questo il segreto di Rossopomodoro Uk”. Il format, inaugurato da tre amici spinti, nel 1998, dalla passione per la pizza e per Napoli, è arrivato in Fulham Road, Chelsea, nel 2005 e, da allora, ha fatto proseliti anche in Camden Town, Oxford Street, Hoxton, Swiss Cottage e Covent Garden, presto diventati poli di vendita a gestione diretta del marchio. “Il successo fu immediato – prosegue – e ci provenne dal duplice riconoscimento da parte di inglesi da un lato e italiani dall’altro che in Rossopomodoro (ri)trovavano un brand forte e, appunto, riconoscibile come made in Italy”. Sia che si tratti di moda, design, cultura o alimentazione, il made in Italy vanta una connotazione, ed è questa connotazione di alto artigianato a decretarne il successo: “La sua forza sta proprio nella sua riconoscibilità – dichiara Roberto Costa – perché uno spaghetto al pomodoro è codificato e tradotto con la parola ‘Italia’ ovunque nel mondo”.
CAPILLARE ED EFFICIENTE
Ma per essere efficace, il made in Italy deve essere efficiente e capillare: queste le premesse, per ogni attività, per tramutarsi in franchising e le nuove forme di consumo, incoraggiate da sistemi come il food delivery, appunto, possono aprire una fiorente frontiera di guadagno. “Rossopomodoro – ci spiega Colombo – è stato pioniere di questo sistema di vendita. Nei luoghi dove la copertura residenziale è alta, col delivery si raggiunge anche il 40% del fatturato”. Per Roberto Costa, comunque, prima di avventurarsi nel mercato del delivery risulta essenziale implementare la gestione del proprio back office: “L’aver adottato i sistemi di gestione del mondo anglosassone ci ha permesso di ingegnerizzare ricette, magazzino, menù e, ovviamente, anche delivery”. Senza queste premesse, la capacità di cavalcare i nuovi flussi di consumo per l’Italia diventa pressoché nulla e il suo successo rischia di essere fantoccio, confinato e, di conseguenza, inespresso. “I ristoranti devono cambiare pelle, adeguandosi alla domanda di un consumatore che, rispetto anche solo a 5 anni fa, è molto cambiato. Basta guardare le nuove cucine per rendersi conto di quello che sarà il futuro dei consumi” ammonisce Costa, riferendosi al fatto che, nei grandi agglomerati urbani, dal piano cottura ci si riduce spesso al solo forno a microonde: ed è precisamente in questo sostrato abitativo che entra in scena la questione del food delivery. Un’indagine dell’osservatorio Deloitte Italia ha evidenziato come internet abbia cambiato il profilo dei consumatori: oltre il 70% di questi, infatti, consulterebbe le recensioni degli altri utenti prima di fare un acquisto online, e ciò vale a maggior ragione anche per il cibo. Inoltre, è emerso che il 58% dei consumatori a basso reddito sceglie di acquistare nel negozio fisico, mentre i consumatori a reddito medio-alto sarebbero più disponibili a pagare un sovrapprezzo per gli acquisti online e la consegna a domicilio. Un dato che, in una città come Londra, assume proporzioni esponenziali: “Nella capitale britannica – dice Costa – le recensioni pesano come macigni: sarà per via del tessuto urbano, molto complesso, o per la natura dell’offerta, altrettanto complessa, fatto sta che i turisti appena escono dalla Victoria Station cercano i ristoranti con la app di TripAdvisor”. Oltretutto, precisa il proprietario di Macellaio Rc: “Il trend delle review e degli acquisti acquisiti online è tutto anglosassone: non stupisce dunque che i volumi, se rapportati, siano più alti che in Italia”.
IL PESO DELLA COMMISSIONE
Quanto al food delivery, i primi accordi tra le parti prevedevano una commissione tra il 15 e il 30% per le società e, per i ristoranti, il divieto di alzare i prezzi onde evitare di scoraggiare il consumatore. Tale pratica stritolava il ristoratore che, annullando la propria marginalità, per paura di perdere i propri clienti era costretto a lavorare a profitto zero. Benché successivamente, dinanzi all’evidenza, le compagnie di delivery abbiano iniziato gradualmente ad ammorbidire le proprie posizioni in merito al rialzo prezzi, la marginalità è ancora molto risicata. “Considerato che alla compagnia che effettua il delivery, in percentuale, va il 25%, i conti si fanno velocemente: se consideriamo che in un’attività standard l’incidenza del personale dovrebbe essere del 30% e quella del food cost intorno al 30%, con il 25% di delivery al ristoratore resta in tasca il 15 percento. Se deve pagare l’affitto, poniamo, non ci sta più dentro con le spese”, racconta Costa. La situazione è però diversa per i franchising: l’AD di Sebeto Roberto Colombo ci spiega che: “Gli accordi sulle commissioni variano da compagnia a compagnia e questo per effetto della storicità della catena e della sua forza vendita”. Un po’ come accade a poker quando se il tuo portafoglio non ti permette di giocare, giocando, quasi sicuramente perderai. “Oltretutto – racconta Roberto Costa – c’è la stessa concorrenza delle società che effettuano la consegna: Deliveroo ha creato delle cucine dove i loro cuochi cucinavano e consegnavano i loro stessi prodotti”. Per Rossopomodoro, poi, c’è anche il fatto che: “Il driver è, essenzialmente, il depositario della qualità del prodotto che viene consegnato. Stando così le cose, il rischio maggiore, per noi, è che il cliente riceva un prodotto freddo, o capovolto, e in questi casi è sempre il ristorante a pagare le conseguenze a livello di reputazione: fa parte del rischio del servizio…”.
FUTURO FLUIDO
Proprio a Londra ha avuto inizio l’avventura di Deliveroo, piattaforma fondata nel 2013 da Will Shu e Greg Orlowski. La sua formula è stata quindi esportata in Australia, Belgio, Emirati Arabi, Francia, Germania, Hong Kong, Italia, Irlanda, Paesi Bassi, Singapore, Spagna e Taiwan. Le sue vendite globali sono in crescita costante così come, è d’uopo sottolinearlo, le vertenze legate alle condizioni salariali e di lavoro. Quest’estate, ha fatto il giro del mondo l’immagine della dining experience offerta da Deliveroo in elicottero sorvolando la City. “In una capitale mondiale come Londra, il delivery è diventato parte della gestione stessa del locale. Nei punti vendita ad alto tasso di residenzialità è essenziale. Eppure – continua Colombo – nei punti vendita ad alto traffico turistico questo servizio è meno importante: piuttosto, s’impone l’esperienza dal vivo”. E, a proposito di esperienza live, benché il presente si prospetti ancora accidentato, Roberto Costa ci offre una prospettiva ulteriore di fruizione: “Il delivery ci permette delle evoluzioni interne non solo in fatto di prodotto, ma anche in termini di packaging. Attraverso i dati immagazzinati tramite le piattaforme, lo stesso tessuto urbano può essere mappato più efficacemente: si può considerare per esempio di cambiare il proprio menu e relativo packaging per rendere più profittevole l’offerta non solo di città in città, ma di quartiere in quartiere. In alcuni quartieri di Londra, quelli benestanti, di solito, i clienti preferiscono mantenere inalterato il livello della propria performance culinaria: per questo motivo non escludiamo di portare loro gli ingredienti da combinare, e cucinare, direttamente a casa. Si tratta, insomma, di un business sul quale continuare a investire non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista speculativo”.
Leila Salimbeni