Consumi in crescita e soprattutto ampi margini di miglioramento per i vini rosati. Ce la farà l’Italia a misurarsi con i leader francesi, a cominciare dal mercato più importante ovvero negli Stati Uniti? Parola agli importatori, in attesa del debutto del Prosecco doc in tinta rosa
Tra bianco e rosso, a vincere è il rosé. Questo è in sintesi il 2018 del vino sui mercati internazionali. Un successo che parte da lontano e proprio nel paese d’elezione dei rosati: la Francia. Negli ultimi dodici mesi infatti il pubblico d’Oltralpe ha consumato il 31% in più di rosé in un crescendo a passo da record sia con gli champagne che con i fermi. E se i francesi provocano, gli italiani rispondono con un +17%. Ma il balzo più interessante, al netto transalpino e soprattutto considerate le potenziali dimensioni del bacino, è stato quello americano, che ha registrato un +23,3 percento. Questi sono i numeri raccontati dalla ricerca firmata da Wine monitor – Nomisma “Vino rosato italiano, mercato e trend” e presentata dalla Regione Puglia in occasione di Vinitaly.
ATTESA PER IL PROSECCO
Quella del vino rosé non è proprio una moda del momento. Lo è semmai in Italia, ma non nel mondo, dove nel periodo compreso tra il 2007 e il 2017, il consumo è cresciuto del 7% circa. Piuttosto, l’aspetto più interessante, in particolar modo se visto in prospettiva, è che a generare un nuovo volano, oltretutto vantaggioso per l’economia italiana, potrebbe essere l’arrivo di un Prosecco rosé doc. A quanto è dato sapere al momento di andare in stampa, il Consorzio del Prosecco doc dopo un periodo di sperimentazione ha recentemente approvato la modifica del disciplinare e ora è in attesa dei responsi istituzionali. L’ottimismo tra i sostenitori è forte e la vendemmia 2019, a patto di forzare i tempi, potrebbe essere già quella del debutto. Chi rimane invece fermo sulle proprie tradizioni è il Consorzio Tutela del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene che non intende aderire perché andrebbe a stravolgere una tradizione territoriale ‘bianchista’, tanto che il presidente Innocente Nardi ha detto durante Vinitaly: “Per noi il Prosecco Rosè è più una minaccia che un’opportunità”. Resta il fatto che l’avvento di un Prosecco doc in tinta rosa, con il suo obiettivo a 15-20 milioni di bottiglie per il 2020, potrebbe dare una spinta non indifferente alla produzione italiana di rosati, che oggi rappresentano il 10% circa degli oltre 20 milioni di ettolitri imbottigliati ogni anno nel mondo. Poco più del doppio di quanto ne fanno nella sola Provenza (5,5%), e poco più di un terzo del totale francese (28%). Ma anche Stati Uniti (17%) e Spagna (15%) producono di più di noi. E lo stesso discorso potrebbe valere anche in termini di consumi. Perché se nel 2018 il 36% dei vini rosati finisce in calici francesi, il 15% in quelli statunitensi, il 7% in quelli tedeschi e il 5% in quelli italiani, ecco che l’avere un prodotto forte, famoso e riconoscibile, potrebbe cambiare lo stato delle cose. E non solo in Italia, ma anche in paesi come Germania e, soprattutto, Stati Uniti. Perché il forte consumo interno limita la Francia (14% dell’imbottigliato) proprio alla voce esportazioni, tanto che oggi a dettare il passo è la Spagna con il 42%.
ITALIA VS FRANCIA
L’obiettivo di mercato è rappresentato soprattutto dagli Stati Uniti. Da New York a Los Angeles, si bevono rosé nazionali per il 46%, francesi per il 44% e solamente per un 5% italiano. I valori in gioco, a oggi, non superano i 500 milioni di euro, ma un nuovo attore protagonista potrebbe dare una nuova spinta in un contesto che ha ancora un grande margine di crescita. Non è un caso che anche un big brand come Frescobaldi si sia impegnato a realizzare una nuova bottiglia dal sapore un po’ più internazionale, nonostante la presenza del Vermentino, proprio guardando oltreoceano. Per Steve Slater, executive vice president & general manager della wine division di Southern Glazer’s Wine & Spirits: “Ormai il vino rosé è popolare in tutte le principali città degli Stati Uniti, è il loro consumo, prima quasi esclusivamente estivo, si sta costantemente prolungando anche nelle altre stagioni dell’anno”. La continua crescita del gradimento, non porta solo buone notizie, soprattutto per i produttori. Ad affermarlo è Ronnie Sanders, presidente di Wine Street Imports: “Il problema è che ora il numero di cantine che ha iniziato a produrre rosé è cresciuto così tanto che l’offerta ha iniziato a superare la domanda”. Aggiungendo che: “Noi l’anno scorso abbiamo venduto solo il 60% circa del vino rosato che abbiamo acquistato, e questo ci costringe a rivedere i piani per il futuro”. Ma non è tutto, perché se è vero che il mercato inizia a essere affollato, è altrettanto vero che lo è soprattutto di vini francesi. Per una sfida che nel mondo del rosé oggi, e negli States in particolare, è ancora impari. Un po’ per la qualità, come ha spiegato Luca Pescarmona, di Pescarmona-Importatori: “Nei vini fermi, per ora gli italiani ci hanno provato, nel Garda e in Puglia, dove hanno lavorato meglio a mio giudizio, ma forse per un problema di terroir e vitigni non riescono ad avvicinare la qualità francese”. Un po’ per immagine: “Ma è un problema che hanno tutti i rosé del nei confronti dei francesi, compresi spagnoli, neozelandesi e americani”, che è il pensiero di Steve Slater. E un po’ per sapore, a detta di Eric Hauptmann, proprietario di Potomac Selection: “Al palato un rosé francese è secco, classico e rinfrescante, e poiché il rosé italiano non è ancora molto popolare, manca un’idea reale tra il pubblico, ma tra gli addetti ai lavori la percezione è che gli italiani sono troppo corposi e con meno acidità dei francesi”. Al netto dei palati, però, la rilevanza ancora marginale non è detto sia negativa. Questo perché, come ha spiegato Steve Slater: “I rosé provenzali hanno aperto il mercato negli Usa, anche per le stesse produzioni americane, per cui i prodotti italiani che oggi si devono confrontare un mercato agguerrito devono lottare, come chiunque altro, per ritagliarsi una propria base di consumatori. Credo però che ci siano ottime prospettive per il futuro”. Sulla stessa linea di pensiero è Eric Hauptmann quando dice: “Se New York resta la piazza più importante, forse per il gran numero di popolazione e di ristoranti italiani, credo che in futuro si possa solo crescere. Già ora anche nelle carte dei vini a Washington Dc stanno iniziando a comparire i rosati italiani”. Un’opportunità che però va colta con serietà perché, come ha sottolineato Ronnie Sanders: “Credo che a potenziale ci siamo, ma c’è anche la necessità di lavorare bene sul prodotto, perché l’Italia in questo aspetto è in ritardo, visto che mentre i francesi hanno dettato lo standard qualitativo qui non abbiamo visto vini rosati italiani seri prima di una decina d’anni fa”.
INCOGNITA BOLLE
Se le aspettative degli importatori a stelle e strisce sono positive, almeno sui vini fermi, l’accoglienza di un Prosecco rosé doc è ancora tutta da scoprire. Innanzitutto è necessario spiegare l’ovvio, cioè che è un tipo di vino privo di concorrenti nella sua fascia di mercato, che non ha nulla a che vedere con lo champagne e nemmeno con i metodo classici italiani e che negli Stati Uniti è apprezzato, come ha sottolineato Ronnie Sanders: “Per essere economico e allegro, mentre lo champagne è molto più serio, tanto che la maggior parte dei bevitori americani di champagne non beve prosecco”. Steve Slater sostiene che “il Prosecco rosé dovrebbe essere interessante per il consumatore americano e potrebbe anche far crescere la base di consumatori per gli spumanti in generale”. Certo non sarà facile, e nemmeno economico perché, come ha ammonito Eric Hauptmann: “Negli Stati Uniti ci sono spazi e possibilità di crescita, però ci sarà bisogno di molta pubblicità”. Ma soprattutto potrebbe essere necessario un cambio di strategia, perché a illustrarne anche gli inevitabili rischi, c’è Ronnie Sanders: “Penso che il prosecco, purtroppo, con il suo successo, alla fine si scontrerà con la sua reputazione. Noi a esempio non lo vendiamo di proposito, anche perché è una corsa al ribasso che non ci piace”.
IL QUADRO ITALIANO
Detto questo manca l’Italia che, come detto, sta vedendo crescere sempre più la sua voglia di rosé. E non solo italiano. Luca Pescarmona, che ben conosce il mercato interno, sostiene: “Per quanto riguarda il solo champagne, delle oltre 7,3 milioni di bottiglie importate 300mila sono di rosé, il che non è poco, anzi è un aspetto interessante”. È un’inversione di tendenza verso un prodotto che, “fino a poco tempo fa nell’immaginario era ingiustamente considerato di serie B”, ha continuato Pescarmona aggiungendo però che, “oggi è un giudizio da argomentare. I rosati sono diventati interessanti perché si sposano bene con i cibi e, soprattutto grazie allo champagne, sono diventati i vini della seduzione”. Il risultato è evidente anche nelle importazioni: “Negli ultimi anni sono raddoppiate tanto che, rispetto al passato, i ristoratori ordinano fino a quattro volte nell’arco dei dodici mesi, contro una sola volta”. E la crescita, conclude Pescarmona, è evidente soprattutto nella fascia media. “Questo livello di prezzo ha ancora grandi potenzialità di sviluppo e interessa un po’ di più il nord Italia e quelle zone di turismo marittimo più frequentate da un pubblico internazionale come Portofino, Capri e Taormina”.