Strategia, competenze e informazione sono alcuni degli elementi su cui devono puntare gli imprenditori italiani del vino per dominare il digitale. un mondo approcciato tardi, complice la fisionomia del settore, ma che promette di dare soddisfazioni
di Sabrina Nunziata
Meglio tardi che mai. Recita così quel famoso detto che, soprattutto oggi, sembra particolarmente calzante per descrivere il rapporto tra mondo del vino ed era digitale. Il settore vinicolo, infatti, si è approcciato con notevole ritardo (soprattutto se paragonato ad altre realtà come la moda) al mondo di Internet e dei social, sottovalutandone la portata finché l’evidenza non è stata più forte di qualsiasi remora. Il ritardo è riconducibile a molteplici fattori. In primis la tipologia di impresa che compone il settore, caratterizzato soprattutto da piccole realtà, nella maggior parte dei casi di tipo familiare, spesso manchevoli di risorse umane (generazioni native digitali in grado di usare i social network e di parlare inglese), economiche (per rivolgersi ad agezie esterne) o di una visione di lungo periodo capace di percepire il valore strategico ed economico del mondo digitale e, in particolare, dei social. Non solo, il mondo del vino è ancora particolarmente ancorato ai mezzi tradizionali, come la carta stampata, che continuano a rivestire una certa autorevolezza capace di oscurare i mezzi di nuova generazione.

NUMERI E CANALI
Secondo la quinta edizione della ricerca FleishmanHillard – Omnicom PR Group Italia sulla presenza online delle prime aziende vinicole italiane per fatturato, nel periodo 2014-2018 si è assistito a una crescita continua di Instagram, con 15 aziende su 25 che gestiscono un canale nel 2018 (contro le 6 del 2014). “Se consideriamo il numero di follower e iscritti su tutte le piattaforme utilizzate dalle prime 25 aziende per fatturato, Instagram ha registrato una crescita di gran lunga superiore a tutte le altre (+8.354% nel periodo 2018 vs 2014). Il trend è proseguito anche nel 2019”, ha commentato Massimo Moriconi, general manager & AD di Omnicom PR Group Italia. In crescita, anche Facebook che, con 21 aziende (contro le 17 del 2014), rimane il canale più apprezzato. Seguono, poi, YouTube (18 contro le 15 del 2014) e Twitter (15 contro le 11 del 2014). In termini di contenuti, invece, nel 2018 il 64% delle aziende parlava di vitigni autoctoni, mentre il 40% suggeriva enoteche, percorsi e degustazioni. Infine, il 76% presentava una sezione del proprio sito dedicata alla sostenibilità con focus su agricoltura sostenibile, efficienza energetica, certificazioni e attenta gestione delle risorse naturali. “Nel 2019 ci aspettiamo un’ulteriore intensificazione delle conversazioni su vitigni autoctoni e sostenibilità oltre a un’attenzione crescente sulla tracciabilità dei prodotti. Su questi ambiti vediamo le maggiori opportunità di diversificazione dello storytelling”. E, a proposito di tracciabilità, un altro elemento strategico offerto dal mondo digitale è quello della blockchain, che rappresenta “un’ulteriore opportunità di certificare l’eccellenza, le filiere e le identità dei nostri vini. Sarà interessante vedere lo sviluppo di quest’ambito, e quali investimenti verranno fatti in partnership pubblico-privato, che permetterà a gruppi selezionati di attori la possibilità di condividere e verificare tutta la filiera produttiva, fino all’approdo al consumatore. Uno strumento in più dunque, pensato con il coinvolgimento di partner specifici per i mercati più importanti, al fine di combattere il fenomeno degli ‘Italian Sounding Products’ che continua ad arrecare grande danno alle nostre aziende”, ha continuato il manager. “Un’altra opportunità è legata alla promozione dei prodotti. Sarà possibile tracciare con più precisione il successo di campagne di comunicazione digitali”.

CASI VIRTUOSI E COME TROVARLI
“Chi fino ad ora si è meglio rapportato con il mondo digitale, in termini di business model, sono i consorzi che, dopo la fatica iniziale, sono quelli che ce la stanno facendo meglio”, ha spiegato a PambiancoWine&Food Laura Puricelli, consumer markets director di PwC. “Loro infatti hanno capito che la comunicazione, affinché sia strategica, non deve essere solo istituzionale, ma deve vertere anche sullo story telling. Tra i casi più virtuosi si contano quelli del Consorzio Vernaccia San Gimignano e quello del Vino Chianti. Quest’ultimo, per esempio, ha agito nell’ottica ‘cliente centrica’ aprendo per la prima volta le anteprime toscane al pubblico (prima erano riservate ai soli addetti ai lavori) con il lancio dell’evento Chianti Lovers. Un’apertura che si è alimentata e incrementata anche attraverso i social, i quali hanno contribuito a creare più interazione e partecipazione da parte del pubblico”. Tra gli altri casi virtuosi, si conta quello di “Veuve Clicquot che sui social utilizza una strategia glocal. In Italia, per esempio, il brand francese di champagne è attivo sui social con account in italiano, quindi comunica con la nostra lingua e racconta di realtà ed eventi territoriali, creando, in questo modo, maggiore engagement con il pubblico italiano”. Ma quali sono i format vincenti per comunicare il mondo del vino attraverso i social? Tra quelli più di successo c’è il video, che si dimostra uno strumento versatile sulle diverse piattaforme digitali, da Instagram a Facebook fino a YouTube. “Quasi tutte le aziende – ha continuato Puricelli – vedono nel video un elemento adatto (Dievole e Frescobaldi sono tra quelle che li usano molto bene) perché permette di raccontare facilmente e fedelmente la propria unicità”. A questo, si aggiunge l’audio, il “format del futuro”, secondo Stevie Kim, managing director di Vinitaly International che in questo strumento vede un mezzo di comunicazione immediato, capace di arrivare direttamente alle persone che, grazie al semplice ascolto, hanno la possibilità di condurre altre attività simultaneamente. Non a caso, è proprio lei la mente dietro Italian Wine Podcast, un progetto di podcast in lingua inglese dedicato al mondo del vino italiano che, quest’anno, ha compiuto due anni d’attività. Disponibile su piattaforme quali SoundCloud, iTunes, XimalayaFM (per la Cina) e sul sito ufficiale, lo show è condotto dallo scrittore britannico Monty Waldin che, in ogni puntata, ospita produttori di vino italiano, critici e altri professionisti del settore vinicolo per parlare della percezione e del potenziale del vino italiano nel mondo. L’obiettivo è quello di comunicare questa realtà a un pubblico internazionale, e in particolare negli Stati Uniti dove i podcast sono molti ascoltati. In questo modo, Vinitaly si fa ulteriormente veicolo di diffusione della cultura italiana del vino nel mondo, dimostrando quanto una visione super partes sia strategica ai fini di indirizzare correttamente i singoli. Non a caso, una delle prime iniziative non convenzionali per far convergere i due mondi “risale a circa otto anni fa, in occasione di OperaWine. All’evento – racconta Stevie Kim – partecipavano 100 aziende, quelle più gettonate per il mercato americano, e due di queste non avevano nemmeno la posta elettronica, comunicavano solo con il fax. Così, per cercare di spronarle all’uso del digitale e dei social, abbiamo chiesto agli operatori di twittare il loro vino preferito della manifestazione. Di conseguenza, le aziende sono state spronate ad aprire, a loro volta, un account di Twitter (all’epoca infatti erano solo una dozzina quelle che lo avevano) e a fare i primi passi nel mondo dei social”. Proprio in quest’ottica, all’edizione 2019 del salone di Verona, sarà lanciato Hire me Influencer, il format di business speed-dating che mette in contatto, ponendo letteralmente l’uno di fronte all’altro, le aziende italiane e i più rinomati key opinion leader dell’ambiente. L’obiettivo è duplice: da un lato permettere agli imprenditori di ottenere consigli personalizzati e gratuiti sul proprio business a livello di comunicazione digitale, dall’altro consentire agli influencer di promuovere la loro attività. su cosa puntare Gli stimoli esterni, pertanto, non mancano, ma le aziende devono metterci del proprio per cavalcare l’onda offerta dal digitale. In primis, il sito Internet – imprescindibile – deve fornire informazioni corrette e precise sulla cantina (contatti, dove e come reperire il vino). I social, poi, devono essere approcciati in termini qualitativi, più che quantitativi, e non senza aver stabilito una strategia, la quale deve essere il punto partenza, e non una variabile da stabilire in corso d’opera. Per quanto riguarda i contenuti, questi devono essere di qualità e, nell’ottica di uno sviluppo estero, calibrati a livello di lingua utilizzata. Soprattutto è necessario rendersi conto che il digitale, e i social, non si improvvisano. Bensì è necessario informarsi, studiare e, nel caso in cui ci si rendesse conto di essere manchevoli di queste skills, affidarsi a dei professionisti.