Negli Stati Uniti la svolta è già iniziata e apre un’autostrada di opportunità ai prodotti italiani, sulla scia vincente della dieta mediterranea. La sfida è riuscire a coprire un mercato grande e differenziato, partendo dalle aree più evolute come East Coast, California e Florida
La patria del junk food sta cambiando pelle e si aspetta, soprattutto dall’estero, prodotti di alta qualità e al tempo stesso sani. Gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale per l’agroalimentare italiano e secondo una ricerca di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), nel 2017, occupavano il terzo posto in termini di export dietro a Germania e Francia, ma sono anche stabilmente il primo mercato di destinazione del vino tricolore. Un export che sta crescendo, nonostante la distanza geografica – che non aiuta il commercio di prodotti freschi, favorito invece negli scambi intra europei – e nonostante le velleità protezionistiche dell’era Trump che si accompagnano a un rilancio dei consumi di prodotti made in Usa. Il trend però è cambiato. Il consumatore americano appare più attento agli aspetti salutistici legati al cibo e subisce il fascino dei prodotti alla base della dieta mediterranea.
CAMBIO DI PROSPETTIVA
Al bando i grassi, gli snack veloci e le bibite gasate. Uno dei fattori chiave che contribuisce alla crescita del mercato globale della salute e del benessere è l’adozione di abitudini alimentari sane, e in questo sembra arrivare la conferma che la dieta mediterranea sia ancora imbattibile. Non ci sono cucine orientali che tengano: se si tratta di salute, la scelta del consumatore risiede nella qualità della materia prima e in questo l’Italia è sicuramente sul podio. Secondo diverse recenti ricerche, come quelle condotte dalla società britannica Technavio, il fenomeno è globale e vede l’adozione graduale di stili di vita sani e attivi, ai quali segue un cambiamento delle abitudini alimentari. Sulla tavola oggi arrivano sempre di più alimenti non trasformati e integrali, la dieta si fa varia ed equilibrata. Nel 2017, il segmento dei prodotti naturali per la salute ha detenuto la quota maggiore del mercato alimentare internazionale, rappresentandone oltre il 36% e in termini geografici, gli Stati Uniti ne hanno detenuto la quota maggiore, intorno al 38%. Per l’anno appena iniziato esistono già alcuni report di tendenze, dalla catena bio Whole Foods (acquisita non a caso da Amazon, che l’ha pagata quasi 14 miliardi di dollari) a Kroger, il secondo retailer Usa con più di 3.500 negozi sparsi in tutto il Paese. Quest’ultimo ha rivelato le sue previsioni sulle tendenze alimentari interamente rivolte a prodotti a base vegetale, ortofrutticoli freschi e trasformati. Inoltre, la diffusione di alimenti sani per l’intestino e dei cibi fermentati che ha già preso piede nel 2018 (il cosiddetto Gut Health Food), sembra esploderà nel 2019, forte dell’obiettivo di molte persone di consumare cibo meno elaborato possibile e aumentare i probiotici per migliorare il proprio sistema immunitario. Facendo un salto all’indietro si potrebbe dire che una prima forte presa di coscienza americana relativa all’importanza di una corretta alimentazione basata sulla qualità e varietà della materia prima, sia del 2010, con il Healthy, Hunger-Free Kids Act firmato dal Presidente Barack Obama e fortemente voluto dalla First Lady, Michelle Obama. Il decreto stabilisce nuovi standard nutrizionali per le scuole nell’ottica di prevenire l’obesità infantile. Poche settimane fa però, a dicembre del 2018, sembra che il Dipartimento dell’Agricoltura abbia in parte perso la capacità di far rispettare questa legge. Di conseguenza bisognerà stare a vedere se la politica “America First” attuata da Donald Trump, insieme a queste oscillazioni di potere, avranno la meglio sull’importazione di prodotti esteri.
IL CASO MIAMI
Nella sua infinita varietà e nelle sue contraddizioni, in America esistono però alcune metropoli che si distinguono per essere avamposti delle novità e terreni fertili per contaminazioni e sperimentazioni. Come succede nello stile di vita, nella moda e nel design, così vale anche per l’alimentazione che, come accennato sopra, è sempre più argomento di discussione e attenzione. Tralasciando New York City o Los Angeles, da sempre paladine dell’avanguardia, in ambito enogastronomico si fa spazio anche Miami che, sebbene abbia una produzione locale limitata come tutta la Florida, riesce a inserirsi tra le città americane capaci di seguire e dettare nuove tendenze. “Credo che Miami sia una delle città più interessanti d’America, per lo sviluppo e il potenziale futuro in vari settori, incluso quello culinario. Qui s’iniziano a trovare ristoranti vegani, e numerosi altri che offrono cibi salutari, frequentati soprattutto da un pubblico giovane più attento alle nuove tendenze”, spiega Graziano Sbroggio, fondatore del Graspa Group, uno dei migliori gruppi di ristorazione a Miami dal 2002. Secondo Sbroggio, la California e in generale la costa occidentale restano i veri leader nella ricerca di prodotti e stili di vita sani, così come nel consumo di prodotti bio e naturali, mentre Miami è diventata il fiore all’occhiello per la costa orientale. Una conferma arriva da Sergio Sigala, chef della Soho House a Miami Beach e che vive in città da 19 anni: “Riceviamo sempre più richieste di piatti e menu molto attenti alla salute, con ingredienti ricercati ma naturali. Abbiamo iniziato anni fa con gli estratti che adesso sono una firma della Soho House in tutto il mondo. Inoltre, alcuni ospiti, soprattutto quelli del club, ci chiedono di non usare carne ma di trovare nuove soluzioni più sane da una parte e più sostenibili dall’altra”. Secondo Sbroggio, le realtà che stanno crescendo nel settore del benessere alimentare non sono competitor della cucina italiana, perché con la dieta mediterranea si riesce sempre a proporre piatti nuovi per il mercato locale, storici e classici in Italia. “In generale – ha aggiunto – nel contesto gastronomico, il prodotto italiano si inserisce molto bene per vari motivi: in particolare il made in Italy, cibo compreso, è considerato al top per tutti gli americani e non solo. Malgrado ci siano tuttora molte imitazioni e contraffazioni che cercano di trarre vantaggio dall’Italian sounding, la cucina italiana ha una sua storia ed una forte identità. In più, grazie alla grande quantità di turisti americani e latini che visitano l’Italia e ritornano con ottimi ricordi di quello che hanno mangiato, si offre a noi operatori locali la possibilità di introdurre nuovi prodotti, piatti autentici ed usanze”.
SFIDA DISTRIBUZIONE
Proprio a Miami stanno prendendo vita diversi investimenti che arricchiscono l’offerta culinaria della città. Uno su tutti, la prima food hall, La Centrale, aperta ad aprile 2018 con un investimento di 32 milioni di dollari, per mano di Jacopo Giustiniani del Hospitality e Matthias Kiehm, con un passato al Four Season e nella gestione food di Harrods a Londra. Nel format de La Centrale la qualità è in prima linea e varia dai vini ai prodotti vegetali, presentati in tipologie di ristorazione diversificate per tema, dall’enoteca, al ristorante di solo carne, solo pesce o con prodotti stagionali dell’orto. Non è un mercato alimentare come Eataly, ma un’offerta declinata in ospitalità e ristorazione. Un altro ottimo risultato d’investimenti economici e saper fare tutto italiano è Salumeria 104, capitanata dallo chef trevigiano Angelo Masarin, a Miami dal 2009. “Credo sia corretto dire che Miami è la città degli investimenti, dall’arte, e si vede dall’importanza di Art Basel Design Miami, al cibo e alla ristorazione. Il pubblico americano è curioso e vergine, quindi ottimo per sperimentare, ma la qualità rimane la carta vincente”, conclude. Sebbene l’Italia spicchi proprio in questo, sembra che ancora oggi uno dei principali problemi del made in Italy sia riuscire a coprire l’estensione statunitense in maniera capillare. Secondo l’opinione dello chef Masarin infatti, il settore dei dealer d’esportazione è in espansione, forte anche del nuovo approccio alla tavola da parte degli americani, ma la frammentazione all’origine della produzione italiana rende il processo più lento e complicato. “In Florida esistono alcuni medi distributori di prodotti italiani eccellenti dai quali noi ci riforniamo da sempre, come Prime Line”, che è stato tra i primi a introdurre sul mercato statale prodotti unici come formaggi artigianali, aceti invecchiati o funghi selvatici. “E ci sono piccoli artigiani come quelli da cui acquistiamo la mozzarella di bufala fresca” ha concluso lo chef aggiungendo: “Si stanno facendo sicuramente grandi passi in avanti, ma la mancanza di un sistema e di una rete solida al punto di partenza di sicuro non aiuta, soprattutto per raccontare qui il meglio della cucina italiana”.