Hanno approcciato la biodinamica nel 2003, con una visione per nulla elitaria. Sedici anni dopo, Cantina Orsogna produce 1,5 milioni di bottiglie, 100% bio, 70% biodinamico. La realtà cooperativa con sede a Orsogna (Chieti), ai piedi della Maiella e a 450 metri sul livello del mare – ma a soli 16 chilometri dalle spiagge della costa dei Trabocchi – conta 400 soci, che conferiscono uve per l’85% biologiche e per il 30% biodinamiche. La differenza di percentuale tra uve e imbottigliato è legata al fatto che una parte delle prime è destinata a diventare vino sfuso.
Dopo anni di tenace investimento, ora per Orsogna è arrivato il tempo della raccolta. “Avevamo puntato sull’estero, ma i vantaggi della biodinamica non erano percepiti appieno neppure oltre confine – spiega il direttore tecnico Camillo Zulli – e quindi abbiamo dovuto letteralmente ‘evangelizzare’ i nostri distributori. Negli ultimi tre-quattro anni, invece, il trend naturale ha iniziato a prevalere e le cose sono cambiate di conseguenza”. E uno dei segreti di Orsogna consiste nell’aver organizzato uno staff tecnico in grado di controllare le fermentazioni spontanee per dare vita a un prodotto biodinamico vero, ma al tempo stesso privo di difetti. Il tutto è avvenuto nonostante i limiti gradualmente posti dalla legislazione al metodo bio, che come unico trattamento anti parassitario punta sul solfato di rame: “Nel 1996, quando già eravamo in regime di agricoltura biologica, erano tollerati 20 kg di rame. Oggi il limite è 4 kg. Se viene bandito il rame, finirà il bio”, avverte Zulli. Per rimediare a questo limite sempre più stringente, Cantine Orsogna ha adottato soluzioni alternative di biostimolatori per permettere alla pianta di difendersi dai parassiti. “Sono tentativi, ma a oggi quel che è disponibile nel mercato non è in grado di garantire la produzione 100% bio”, precisa il direttore tecnico. Intanto, Orsogna ha anche avviato programma sperimentale con centraline diffuse nei terreni per individuare il rischio peronospera, intervenendo prima della pioggia e prima che possa insorgere la malattia. “Ci costa 7mila euro l’anno, ed è una spesa sostenibile, essendo distribuita tra 200 soci bio. Ma se dovesse essere adottata da una singola azienda, tutto diventerebbe più complesso”.
Orsogna ha incassato nel 2018 circa 21 milioni di euro tra sfuso e imbottigliato, con una quota di 80 contro il 20 percento a favore dello sfuso. La dinamica premia tuttavia l’imbottigliato, che è cresciuto del 75% nell’ultimo anno e dovrebbe crescere di un altro 50-75% nel 2019. I due terzi del fatturato dipendono dall’estero, con Germania e Stati Uniti quali principali mercati di destinazione dei suoi vini. “Nella ristorazione prevale quella di fascia medio/alta, perché negli stellati permane un certo scetticismo verso i vini da agricoltura biologica e biodinamica, mentre nella ristorazione healthy si entra con più facilità e infatti sta crescendo”, conclude Zulli.