La formazione interna in cucina diventa la base per creare i futuri resident chef legati al brand che si trasforma in catena, nelle sue diverse manifestazioni: ristoranti esteri, consulenze e collaborazioni
La formazione di una brigata all’altezza della fama di cui gode lo chef è la base per la replicabilità del suo brand. Chi prova la cucina di uno stellato italiano può facilmente confrontare l’esperienza vissuta nel main restaurant con quella nel suo bistrot a Dubai, con il locale di Shanghai di cui è consulente e con il suo eventuale temporary a Miami. Queste ed altre formule devono riportare, a livelli diversi, la firma dello chef, che da un lato ne trae il beneficio della fama con conseguente rafforzamento del marchio, dall’altro si espone a rischi qualora le cose non dovessero andar bene. La sfida non è facile e viene affrontata formando internamente, con stage e tirocini, quei giovani che ricopriranno in seguito i ruoli cardine nella conduzione dei ristoranti dove lo chef è coinvolto, diventando i project manager dell’impresa.
IL LIMITE AUTOREFERENZIALE
“Gli avanzamenti di carriera sono gestiti come ‘premio’ da distribuirsi tatticamente per riconoscere la capacità di rispecchiare la mission aziendale e rafforzare la fiducia reciproca”, racconta Mario Bonelli, formatore, consulente e coach d’impresa per multinazionali. Esistono però dei punti critici. Se da una parte questo approccio tende a potenziare la coesione dell’impresa, dall’altra spinge verso la chiusura, l’autoreferenzialità e la difficoltà ad assorbire nuove energie e competenze dall’esterno. Le soluzioni? Trasformare il personale di sala in attore della ‘vendita persuasiva’ attraverso il miglioramento della sua relazione con il cliente. “Quest’orientamento dimostra una profonda comprensione delle nuove dinamiche di mercato e del cliente, che si affida alle sue mani e al suo cuore non già per mangiare ma per vivere un’esperienza unica e memorabile”, sottolinea l’esperto. Paolo Guarnieri, consulente d’impresa specializzato nel settore della ristorazione, nota “quasi con divertimento” la tendenza dei grandi chef a creare una “corte di fedeli discepoli” che portano avanti le attività secondo i canoni e i criteri scelti; questa tendenza si amplifica quando i patron dei ristoranti creano format o scelgono di diversificare le loro strutture. La formazione interna è una scelta quasi automatica ma, afferma il consulente:. “Preclude la possibilità, soprattutto in giovane età, di approfondire esperienze di più ampio respiro, arricchendo il curriculum. Per questo, nonostante il raggiungimento di un livello di affidabilità elevato e di garanzie in ambito lavorativo, spesso si assiste tra i giovani a una fuga dal nido di origine per affermare il proprio stile culinario”.
INVESTIRE SUL TALENTO
Partendo dalla necessità di crescere internamente i suoi allievi, Niko Romito, 3 stelle Michelin del Reale di Castel di Sangro, ha creato una vera e propria scuola di formazione: Accademia Niko Romito, nata nel 2011, oggi presenta uno spazio di 450 mq. La necessità, racconta, era quella di “creare un filo diretto tra la formazione in aula e l’applicazione pratica in cucina, con l’obiettivo di dare una formazione integrata e completa che insegni agli aspiranti cuochi non soltanto a cucinare un piatto, ma anche a comprenderlo”. E per Romito comprendere un piatto significa analizzarlo dal punto di vista organolettico, studiarne i valori nutrizionali, creare degli abbinamenti all’interno del menu e con i vini proposti, averne quindi una visione omnicomprensiva dell’esperienza e della fruizione, una volta portato in tavola. Da queste premesse nasce Spazio, “cucina di mezzo”, come ama definirlo lo chef. Si tratta di un ristorante-laboratorio attualmente presente a Milano, Rivisondoli, Roma e con piani di apertura all’estero dove le nuove leve di Romito possono fare formazione sul campo, avendo un riscontro immediato e concreto con il mondo del lavoro e con la clientela, operando in una sorta di scuola di cucina aperta al pubblico e a prezzi contenuti: i clienti infatti possono assaporare la filosofia e qualche piatto dello chef, tenendo conto però di un’interpretazione più giovanile e semplificata. Dal Pomiroeu di Seregno a quello di Marrakech, dal Phi Beach in Sardegna alla Trattoria Trombetta, al Bulk e al ristorante Morelli di Milano, al netto di consulenze e firme varie, Giancarlo Morelli è a capo di un gruppo in grado di servire 12mila coperti l’anno e con un centinaio di persone sotto la sua direzione. Lo chef seleziona il personale in base al carattere e alla propensione. “Ma che sia chiaro, lo stellato non rappresenta un premio perché non esistono ristoranti di serie A e altri di categorie inferiori” precisa Morelli. “I ragazzi non li scelgo, li sento! Nella mia vita non ho mai sbagliato un’assunzione. Li seleziono avendo modo di parlare molto. Al curriculum non presto grande attenzione. Noi chef dobbiamo imparare a capire cosa i giovani cercano nel ristorante” racconta. “Solo conoscendoli intimamente e capendo la loro propensione al lavoro posso pensare di affidar loro la cucina di un bistrot piuttosto che un posto di responsabilità allo stellato”.
DA DIPENDENTI A SOCI
Quando si ha a che fare con tanti ristoranti sotto un unico ‘cappello’, il turnover in cucina (e in sala) costituisce la normalità, ancor più quando le nuove aperture si susseguono. In genere, la formazione inizia dal punto più alto ovvero dal ristorante-icona del gruppo. Capita così da Heinz Beck, che forma a La Pergola (tre stelle Michelin a Roma) i cuochi poi destinati alle varie location interne ed estere dove opera con il suo brand. Enrico Cerea affida le sorti lavorative dei ragazzi a un’ unica intervista conoscitiva; se idonei, si parte sempre con sei mesi di prova al Da Vittorio, che permettono di affinare la conoscenza, costruire la relazione, capire le reali attitudini, per un percorso d’obbligo che permette di formare da vicino e in casa ogni dipendente. Giancarlo Perbellini è a capo di dieci ristoranti, tra cui il bistellato Casa Perbellini in piazza San Zeno a Verona, e ha certamente bisogno di reperire personale in maniera costante. “Raramente – racconta lo chef – assumo persone già formate. Ed è necessario anche rispettare le aspirazioni dei ragazzi: chi desidera lavorare in un ristorante gourmet difficilmente è disposto a stazionare nella trattoria, ma nel tempo mi sono reso conto che chi è davvero motivato sa aspettare. Il segreto è trasformare negli anni i dipendenti in soci, affrontando insieme una nuova complessità: la gestione di un ristorante è più impegnativa della produzione della linea di cucina”. La ‘Galassia Perbellini’ comprende cinque locali a Verona, uno a Venezia, il bistrot a Milano, Locanda Perbellini a Hong Kong e La Pergola by Perbellini a Manama in Bahrain. “Mi piace porre sempre nuove sfide ai miei ragazzi, in modo che affinino le loro abilità: è il caso della cucina di Casa Perbellini, dove sono costretti a preparare tutto a vista, una difficoltà in più rispetto al precedente Perbellini di Isola Rizza, con una spaziosa cucina. Oltre ad essere apprezzato dai clienti della Casa, che percepiscono un’atmosfera più inclusiva, lavorare sotto i loro occhi rende i giovani più armonici, efficienti e ordinati, insegnando a operare con metodo, attenzione, precisione. Queste sono le caratteristiche fondamentali per diventare chef e intraprendere un percorso come imprenditori della ristorazione”.
di Camilla Rocca