Gli Usa hanno ridotto l’import agroalimentare del 4%, ma quello dall’Italia è aumentato del 4,5 percento. In Cina è -3,1% a livello complessivo, +14,3% per i prodotti food&beverage made in Italy. Lo stesso accade in Canada, nome di assoluta attualità in questi giorni di discussioni legate all’accordo di libero scambio (Ceta): -6,8% l’import totale agroalimentare, +4% quello di origine italiana.
I dati raccolti e analizzati da Nomisma evidenziano come, in uno scenario di mercato poco favorevole agli scambi commerciali internazionali, l’agroalimentare italiano stia continuando a crescere, performando meglio dei competitor. Nei primi cinque mesi 2018, la progressione delle esportazioni tricolori è stata pari al +3,5%, tra le più alte se confrontate con gli altri Paesi. Solo la Francia è cresciuta di più (+4%), mentre la Germania non va oltre il +1% e la Spagna arretra dell’1 percento. Profondo rosso invece per la concorrenza extra Ue, con gli Stati Uniti in calo dell’8%, il Canada del 10%, il Brasile quasi del 12 e l’Australia addirittura del 17 percento.
“L’Italia è in netta controtendenza, fa meglio del mercato”, commenta Denis Pantini, responsabile area agroalimentare di Nomisma. E ciò accade anche in Europa, dalla Germania (+5,8%) alla Gran Bretagna (+2,6% contro una media del -2,4%) fino alla Romania (+13%) e alla Polonia (+8%), dove negli ultimi cinque anni le importazioni di food&beverage dal nostro paese sono aumentate del 46% grazie anche ad un consumatore locale che ha potuto godere di un maggior livello di benessere e che in prospettiva dovrebbe veder crescere ancora i propri redditi.
Il prossimo 28 settembre a Bologna si terrà il Forum Agrifood Monitor 2018. All’ordine del giorno, i possibili effetti derivanti dalla Brexit sul sistema agroalimentare italiano e l’analisi sul posizionamento, la reputazione e la percezione che il food&beverage (in particolare i salumi “made in Italy”) hanno presso il consumatore polacco.