A fronte di un turnaround di 7 miliardi di euro del gruppo industriale che fa capo alla famiglia Knauf, il vino, dove opera con l’azienda toscana Campo alla Sughera, rappresenta una piccola cru nel giro d’affari della holding. “Una questione di passione”, specifica Frederick Knauf, che condivide con la cugina Isabel il coordinamento del progetto-vino.
C’è da dire che l’approccio teutonico all’azienda vinicola Campo alla Sughera ha dato finora ottimi risultati. E non si pensi solo alla qualità dei vini prodotti nella tenuta, che hanno seguito una linea evolutiva coerente e davvero interessante, ma anche sul piano finanziario. A vent’anni dall’acquisto del terreno – una tra le molte acquisizioni fondiarie degli Knauf, legata al vicino stabilimento estrattivo di Castellina Marittima – e a 17 anni dalla prima vendemmia, la boutique winery toscana ha già chiuso l’ammortamento e ha raggiunto un buon equilibrio dei conti. “Non abbiamo nessuna intenzione di vendere – chiarisce Knauf – ma già oggi il ritorno dell’investimento sarebbe molto positivo”.
In realtà i buoni risultati di produzione e vendita Campo alla Sughera non hanno indotto la proprietà ad un mantenimento conservativo della linea. “Quando abbiamo investito sull’impianto di vigneti in queste campagne volevamo avviare un’azienda profittevole – chiarisce Knauf – e ci siamo riusciti. Crediamo che la stabilità finanziaria sia importante quanto la qualità del terreno. Da due anni è anche cambiato il management e ha dato una spinta ulteriore alla crescita”. Certo avere alle spalle la forza di un gruppo industriale ha messo l’azienda nelle condizioni di fare scelte non facili, ma vincenti, come quella di posticipare l’immissione sul mercato delle annate imbottigliate, trattenendole in affinamento per garantire al cliente un vino più maturo. “È un immobilizzo che devi poterti permettere con 110mila bottiglie prodotte, ma siamo convinti che questo offra un’esperienza dei vini più evoluta”, conclude Knauf.
Un percorso interessante per una winery nata (quasi) per caso con l’acquisto di un fondo legata all’attività estrattiva degli Knauf. “Analizzando i terreni ci siamo resi conto di avere una composizione del suolo simile a quella delle più famose cantine di Bolgheri – scherza Isabel Knauf – e allora abbiamo pensato che poteva esser l’occasione per fare un vino sul modello dell’Ornellaia o del Sassicaia che abbiamo conosciuto quando siamo arrivati in Toscana”.
La spinta dunque non si ferma. E in occasione dei vent’anni è iniziata anche la collaborazione con l’enologo Stéphane Derencourt, che sta portando un’evoluzione verso una minore densità e una maggiore eleganza (Bordeaux docet). Il primo progetto condotto dal consulente francese è il nuovo Anima d’Arnione, un Supertuscan – blend di Cabernet Sauvignon (85%) e Merlot (15%) – creato per celebrare il ventesimo anniversario della cantina.