Le principali operazioni concluse nel vino durante il biennio 2016-17 sono state ispirate dalla ricerca di aziende e prodotti adatti allo sviluppo internazionale. I casi Santa Margherita e Terra Moretti.
Investitori privati e gruppi industriali sono stati i protagonisti delle principali operazioni di M&A registrate nell’ultimo biennio all’interno del comparto wine. Non poche, secondo la rilevazione di Pambianco Strategie di Impresa. Si tratta di 40 operazioni concluse a livello internazionale con una distribuzione piuttosto uniforme nel periodo considerato: 21 nel 2017 e 19 nell’anno precedente, escludendo quelle avvenute all’interno degli Stati Uniti e messe in atto da parte dei colossi locali del wine come Constellation Brands o E. & J. Gallo. Le più significative hanno riguardato l’Italia e la Francia. E se al di là delle Alpi si sono mossi due big del lusso come Lvmh, che ha acquisito Colgin Cellars negli Usa, e come la famiglia Pinault (Kering) che si è assicurata il controllo di Clos de Tart, ma anche i proprietari di Chanel, Alain e Gérard Wertheimer, che sempre in Francia hanno messo a segno l’acquisizione di Château Berliquet, l’Italia ha certamente attirato forti attenzioni e non solo da parte degli investitori italiani. Il colpo più importante del biennio, infatti, lo ha messo a segno la francese Epi, comprando a Montalcino l’inventore del Brunello, Biondi Santi. E altre operazioni di spicco sono quelle che hanno permesso alla belga Atlas Invest di rilevare Poggio Antico, sempre a Montalcino, o all’austriaco Turnauer di assicurarsi Tenuta Argentiera a Bolgheri. Ma gli italiani, e in particolare i gruppi del wine, non sono rimasti a guardare.
DENOMINAZIONI IDONEE
I principali protagonisti delle M&A in Italia sono stati Terra Moretti, con l’acquisizione a fine 2016 da Campari delle aziende vinicole Sella & Mosca in Sardegna e Teruzzi & Puthod a San Gimignano (Toscana), e Santa Margherita, che ha operato anch’essa in Sardegna con Cantina Mesa e nel territorio del Lugana comprando Cà Maiol. Altre operazioni significative sono state effettuate da Masi con Canevel, da Oscar Farinetti con Tenuta Bricco Asinari e poi da altri big come Antinori, Frescobaldi e Tommasi, mentre a livello cooperativo spicca l’intesa tra Cavit e Terre d’Oltrepo per il rilancio di La Versa, storico brand della spumantizzazione pavese. Saranno sempre loro, i gruppi più strutturati, a dominare lo scenario delle M&A nei prossimi anni? Denis Pantini, project leader di Wine Monitor Nomisma, è convinto di sì. “La crescita esogena ovvero per vie esterne è l’unica strada percorribile per i player industriali, poiché quella endogena si scontra con il limite delle autorizzazioni all’impianto di nuovi vigneti. Pertanto, non resta che acquisire realtà di dimensioni medio/piccole con terreni di proprietà e che producono vini richiesti dal mercato”. In quali zone? Pantini non si aspetta acquisizioni roboanti in territori dalle denominazioni ad altissimo prestigio, tipo Barolo o Brunello per intendersi: “I costi sono diventati eccessivi e imporrebbero tempi troppo lunghi per rientrare dall’investimento. Chi entra nelle zone nobili di Piemonte o Toscana in genere ha le spalle molto larghe… oppure è un dirimpettaio”. Pertanto i più gettonati, secondo la visione dell’esperto di Wine Monitor, potrebbero essere proprio quei territori dove operano aziende piccole, che non riescono, date le dimensioni, a proporsi a livello internazionale, ma che hanno vini molto richiesti a livello internazionale. Il Lugana, dove a inizio 2018 ha investito nuovamente Allegrini, è in particolare evidenza, ma attenzione ai “soliti” Prosecco e Pinot Grigio, all’area dove si produce il gettonatissimo Vermentino (Sardegna, Toscana, Liguria) e a quella del Pecorino sul versante adriatico. Pantini però avverte: “Non sono poi molti i gruppi italiani che hanno le dimensioni adeguate, si parla di almeno 80 milioni di fatturato, per fare acquisizioni significative. C’è il rischio che l’Italia vitivinicola diventi terra di conquista”. E i fondi di investimento? Sono i grandi assenti, e non solo per scelta loro… “Le pmi del vino non amano aprire il capitale a investitori esterni quando ciò implica anche una svolta manageriale. Spesso, ed è dimostrato dai fatti, preferiscono vendere. Quelle che hanno deciso di aprire a fondi non sono famiglie storiche del vino, bensì realtà di fondazione più recente, se non imbottigliatori puri”.
AMPLIARE LE REGIONI
Per Santa Margherita, la logica delle operazioni concluse nel 2017 è quella dell’ampliamento delle referenze regionali. Il gruppo disponeva già di forti presidi, ma era da tempo alla ricerca di un inserimento in altre regioni strategiche. “Avendo un dna di ‘bianchisti’, eravamo attratti dal Vermentino – racconta l’AD Ettore Nicoletto – e quello sardo ci ha convinto e appassionato. In Cantina Mesa e nel suo fondatore Gavino Sanna abbiamo trovato il partner ideale, data la volontà di Sanna di lanciare l’azienda in una dimensione internazionale e la sua posizione interessante anche sui vini rossi a partire dal Carignano del Sulcis. Con lui ci siamo trovati in pieno accordo ed è stato piuttosto facile concludere l’operazione”. Quanto al Lugana, la convinzione che Cà Maiol potesse essere il giusto investimento è stata rafforzata non solo dalla conoscenza aziendale ma anche dalle caratteristiche della denominazione. “Il territorio produce appena 15 milioni di bottiglie di un vino contemporaneo, che soddisfa il gusto del consumatore e originato da una destinazione turistica molto importante soprattutto per le popolazioni di lingua tedesca. Apriremo un nuovo capitolo nella storia di Cà Maiol, potenziando l’estero e uscendo dal mercato d’elezione del Lugana che è la Germania”.
PATTO CON LA FINANZA
Nata in Franciacorta con Bellavista e poi con Contadi Castaldi, la realtà di Terra Moretti è cresciuta in Toscana con Petra e La Badiola. Nel 2017, a 40 anni dalla fondazione di Bellavista, il gruppo si è sentito pronto per una crescita finalizzata all’espansione sui mercati esteri. “Erano molte le opportunità di acquisto, ma nessuna aveva le caratteristiche di Sella & Mosca e di Teruzzi & Puthod”, racconta la CEO Francesca Moretti, sottolineando come all’unicità delle due storie aziendali si aggiungesse la perfetta integrazione dei due territori, Toscana e Sardegna, al gruppo creato da Vittorio Moretti, regista di un’operazione fortemente innovativa, perché ha inserito nell’acquisizione un fondo di private equity, NUO Capital, e la banca d’investimento Simest. Non era la prima volta che un fondo bussava alla porta di Erbusco, ma non era più per acquisirne la maggioranza delle quote, bensì per realizzare un’operazione mirata a crescere nei mercati orientali. “A livello societario, l’originalità è stata quella di far dialogare innanzitutto due investitori professionali. Attraverso il loro intervento abbiamo concentrato l’assetto societario su tre aziende – Contadi Castaldi, Sella & Mosca e Teruzzi – ma soprattutto abbiamo dato la mission di sub-holding alla nostra società di distribuzione, Terra Moretti Distribuzione, nella quale i nostri soci sono coinvolti in maniera importante. L’approccio non è speculativo, ma è integrativo di più realtà con l’obiettivo condiviso di costruire insieme nuovi modelli di impresa”. Una partnership che in qualche modo costituisce l’eccezione alla regola dell’assenza dei fondi di investimento dalle grandi operazioni nel mondo wine. Una regola che, secondo la CEO di Terra Moretti Vini, dipende soprattutto da una questione di know how. “Nel mondo del vino sono necessarie competenze specifiche che solo gli operatori del settore sono in grado di sviluppare e che invece la pura finanza ancora non possiede. Da qui l’esigenza di una partnership tra operatori e realtà finanziarie come Nuo e Simest”.
PREDATORI O PREDE?
C’è dell’altro in arrivo? Nicoletto, per Santa Margherita, è possibilista se non addirittura determinato. “Il percorso in Italia non è ancora finito, perché abbiamo un portafoglio prodotti ancora sbilanciato verso i bianchi, in linea con il mercato, ma per crescere non possiamo più prescindere dalla Cina dove il consumo è focalizzato sui vini rossi. Ci faremo trovare pronti e il pensiero va ad alcune zone del centro-sud, al Veneto occidentale e, se uscisse la carta favorevole, anche al Piemonte. Poi un giorno, completato il lavoro in Italia, potremmo anche valutare l’acquisto di una realtà negli Usa, che ci permetterebbe anche di fare la vendita diretta”. Francesca Moretti appare concentrata nel consolidare le acquisizioni già fatte. Talvolta, per molte realtà anche di dimensioni rilevanti, il rischio è di essere a loro volta sotto attacco, come avvenuto nella moda, perché anche un gruppo da 40 milioni di euro, per quanto strutturato, finisce per apparire debole rispetto alle dimensioni dei colossi esteri. “Il rischio c’è – afferma Moretti – ma ricordo una differenza: nel comparto della moda si parla di marchi, di brand che possono essere slegati dal territorio in cui sono nati, e si parla anche di utili immediati e molto elevati. Nel mondo del vino, al contrario, gli utili sono certamente inferiori, arrivano dopo molti anni e inoltre l’appartenenza al territorio è forte, unica, indispensabile: quanto più è saldo questo legame, tanto più riesci ad essere competitivo all’estero”.
di Andrea Guolo