I produttori francesi ottengono il nuovo record dell’export nonostante il calo del suo storico primo mercato, ormai superato dagli Usa. A pesare sono la svalutazione della sterlina e la concorrenza di bollicine più cheap. E il Comité cambia strategia.
La Brexit c’entra, ma fino a un certo punto. Il Regno Unito si conferma, nel 2017, in seconda posizione nella classifica mondiale dell’export di Champagne, con 27,8 milioni di bottiglie destinate ai consumatori britannici, ma il calo c’è e pesa più in volume (-11%) che in valore (-5,7%) rispetto al 2016. Il dato annuale conferma un trend ormai consolidato, lo stesso che ha determinato il sorpasso degli Stati Uniti sulla Gran Bretagna e su Londra, storica destinazione delle casse di metodo classico francese che da secoli attraversano la Manica per essere apprezzate – Churchill insegna – sulle tavole dell’alta società inglese. A Prowein, il Comité Champagne ha presentato l’andamento delle vendite per la bollicina più prestigiosa del mondo. E il dato britannico in calo non riguarda soltanto lo Champagne, ma anche un altro grande protagonista del panorama sparkling, il Prosecco Superiore docg, che negli ultimi anni aveva vissuto una forte accelerata e invece nel 2017 ha sofferto un declino del 9% a valore corrispondente a 27,5 milioni di euro. La svalutazione della sterlina ha indubbiamente pesato e convinto gli appassionati dello spumante a comprare prodotti più accessibili.
MEGLIO I NUOVI MERCATI
Il calo britannico non ha però impedito ai produttori di Champagne di festeggiare il nuovo record di valore. Il giro d’affari complessivo nel 2017, considerando export e mercato domestico, è stato pari a 4,9 miliardi di euro, con una crescita del 6,6% nelle vendite estere rispetto al 2016 e pari a 2,8 miliardi di euro. A spingere le maison transalpine è la forte crescita dei mercati dove lo Champagne è più valorizzato, in particolare Stati Uniti (586 milioni di euro, +8,5%), Giappone (+21,3% con 306 milioni di euro) e Australia (131 milioni di euro con un sorprendente +23%), mentre nell’anno precedente l’incremento del volume d’affari era stato determinato in particolare dalla diversificazione delle cuvée. “Questo è il frutto di una variazione sostanziale della strategia di filiera, orientata a valorizzare sempre più la qualità”, commenta Vincent Perrin, direttore generale del Comité Champagne. E infatti a perdere terreno, oltre alla Gran Bretagna considerata come Paese, è la gdo considerata come canale in cui l’offerta di prodotto si attesta su prezzi medi più contenuti. Maxime Toubart, co-presidente del Comité Champagne, aggiunge: “Prevenire situazioni fortemente impattanti sui consumi come quella delineatasi in Uk è senz’altro una priorità nel nostro programma strategico, oltre a puntare a una stabilizzazione dei mercati in cui il prodotto è già forte, anche questo in linea con la strategia di valore che stiamo portando avanti, e presidiare i mercati emergenti”. Con un +15% a volume e +19% a valore, l’Asia è il continente più performante tra quelli che assicurano ottimi incassi alle bollicine francesi metodo classico. L’area cinese (Cina, Hong Kong e Taiwan) fa registrare il +26,7% a valore nonostante sia evidente la necessità di implementare, investendo in formazione, l’educazione al prodotto in un mercato particolarmente vasto e complesso, anche in termini di dinamiche distributive oltre che di gusto tout court. Interessanti anche i risultati della Corea del Sud, con una crescita a valore del 39,5% che corrispondono al tetto, superato per la prima volta, del milione di bottiglie vendute. In Oceania, oltre all’Australia che ha segnato il record di crescita internazionale maggiore in punti percentuali nonostante il tasso di cambio leggermente meno favorevole, anche la Nuova Zelanda conferma nel suo piccolo un trend positivo (+12,9% a valore). Si riprende rispetto al 2016, invece, il continente africano (+7% sia a volume che a valore), con la Nigeria protagonista di un +24,7% a volume accompagnato da un significativo 18,4% a valore.
ZERO COMPROMESSI
Per Jean-Marie Barillère, alla guida del Comité Champagne insieme a Toubart, è indispensabile concentrarsi sui punti di forza della denominazione – qualità, network distributivo e percepito dei brand trainanti – per contrastare le criticità evidenziate sia dalla vastità di alcuni mercati sia anche dalla congiuntura economica. “La nostra policy è orientata a garantire investimenti sicuri nelle regioni di produzione”, aggiunge Barillère. “Il tasso di crescita e il consistente incremento dei risultati per le cuvée di prestigio in particolare in USA e Giappone, mercati driver, confermano come le linee guida non inclini ai compromessi caratterizzino una strategia vincente”. E l’Europa? Ad esclusione della Francia, che detiene il 50% della quota di export globale ma dove il consumo è in calo, e al di fuori della già affrontata Gran Bretagna, gli altri mercati assorbono quote abbastanza contenute e in generale il valore cresce del 3,9%, in uno scenario di volumi in lieve flessione (-0,5%) e nel quale si muove in maniera significativa la Scandinavia (+9%), dove nei dodici mesi sono state spedite 7,3 milioni di bottiglie, con un incremento dell’11% anno su anno. Con il +9,7% a valore, intanto, l’Italia si conferma quinto mercato mondiale per l’export di Champagne. “Credo che il trend positivo continuerà nel breve e medio termine”, dichiara Leo Damiani, direttore commerciale e marketing di Perriet-Jouët, distribuito in Italia da Marchesi Antinori. “Non penso che torneremo a breve ai volumi massimi raggiunti prima del 2008, quando superammo i 10 milioni di bottiglie, ma i quantitativi crescono e le grandi maison hanno ripreso ad aumentare i prezzi, di poco ma in modo continuo. Inoltre, in Italia il trend è positivo per i grandi brand e negativo per i piccoli produttori. Ne consegue l’incremento del valore medio. In un quadro generale internazionale, la domanda di Champagne è positiva anche per effetto di nuovi mercati che stanno crescendo rapidamente come la Cina e l’Asia in generale”.
di Isella Marzocchi