Il rublo rafforzato rilancia le ambizioni del vino italiano in Russia. Il cambio sull’euro ha toccato a metà aprile il minimo annuale di 53,4, per poi mantenersi sotto quota 60, contro i massimi vicini a 80 registrati a fine gennaio; ottime notizie dunque per tutti i prodotti made in Italy non sottoposti a embargo, che diventano più accessibili per i consumatori russi, compreso il nettare di Bacco di cui l’Italia è il primo esportatore in Russia davanti a Francia e Georgia, per un controvalore che sfiora i 200 milioni di dollari e una quota di mercato di circa il 30 per cento. Nel 2014 i vinificatori italiani erano riusciti a contenere i danni, con una perdita del 6% in euro che però letta in rubli si trasformava in un incremento di circa il 15 per cento. La situazione è decisamente cambiata con il nuovo anno per alcune denominazioni, in particolare per l’Asti Docg. “Nei primi tre mesi si evidenzia un incremento del + 42% dei volumi esportati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente” spiega a Pambianco Wine Gianni Marzagalli, presidente del consorzio di tutela, i cui associati esportano 15 milioni di bottiglie l’anno in Russia, circa il 20% della produzione totale. “Per noi – aggiunge – è il primo mercato in termini di volumi e di valore”. Lo scorso anno l’export dell’Asti Docg era diminuito del 13% principalmente a causa della svalutazione del rublo e del calo del prezzo del petrolio, ma già a gennaio si erano intravisti miglioramenti. I dati trasmessi da Federalimentare evidenziavano nel primo mese del 2015 un recupero dell’8,5% della tipologia Asti, tra le più vendute sulla piazza di Mosca, ma l’industria enologica italiana era rimasta in profondo rosso (-43%). Da allora il quadro economico è cambiato e i russi, inoltre, hanno rafforzato la loro passione per il vino. “La temperatura è calata, ma c’è ancora febbre”, avverte però Marco Gobbi, direttore commerciale di Gruppo Italiano Vini, che vende in Russia circa due milioni di bottiglie. Per la società controllata da Cantine Riunite Civ&Civ, primo operatore nazionale del settore, il mercato russo è stato in forte crescita fino a ottobre 2014, quando la flessione del rublo diede il via a una serie di sofferenze su volumi di vendita, prezzi applicati, cash flow e partner locali. “Il secondo grande problema che affligge l’economia russa – continua Gobbi – è il crollo del prezzo del petrolio, che impatta direttamente sulla vita reale di ogni giorno in quanto ha comportato la perdita di posti di lavoro, la riduzione dei salari, il raffreddamento dei consumi. Il terzo problema è l’accesso al credito, reso estremamente difficile da tassi di interesse elevatissimi”. Queste difficoltà hanno colpito le classi sociali che stavano salendo la scala del benessere e sono di colpo scese di alcuni gradini.