Le principali operazioni di M&A concluse nel vino durante il biennio 2016-17 sono state ispirate dalla ricerca di aziende e prodotti adatti allo sviluppo internazionale. È quanto emerge dallo studio Pambianco pubblicato sul n.1 di Pambianco Magazine Wine&Food.
Investitori privati e gruppi industriali sono stati i protagonisti delle operazioni, 40 in tutto, registrate nell’ultimo biennio all’interno del comparto wine, escludendo quelle avvenute all’interno degli Stati Uniti e messe in atto da parte dei colossi locali del wine come Constellation Brands o E. & J. Gallo. Le più significative hanno riguardato l’Italia e la Francia.
E se al di là delle Alpi si sono mossi due big del lusso come Lvmh, che ha acquisito Colgin Cellars negli Usa, e come la famiglia Pinault (Kering) che si è assicurata il controllo di Clos de Tart, ma anche i proprietari di Chanel, Alain e Gérard Wertheimer, che sempre in Francia hanno messo a segno l’acquisizione di Château Berliquet, l’Italia ha certamente attirato forti attenzioni e non solo da parte degli investitori italiani.
Il colpo più importante del biennio, infatti, lo ha messo a segno la francese Epi, comprando a Montalcino l’inventore del Brunello, Biondi Santi. E altre operazioni di spicco sono quelle che hanno permesso alla belga Atlas Invest di rilevare Poggio Antico, sempre a Montalcino, o all’austriaco Turnauer di assicurarsi Tenuta Argentiera a Bolgheri. Ma gli italiani, e in particolare i gruppi del wine, non sono rimasti a guardare.
I più attivi sono stati Terra Moretti, con l’acquisizione a fine 2016 da Campari delle aziende vinicole Sella & Mosca in Sardegna e Teruzzi & Puthod a San Gimignano (Toscana), e Santa Margherita, che ha operato anch’essa in Sardegna con Cantina Mesa e nel territorio del Lugana comprando Cà Maiol. Altre operazioni significative sono state effettuate da Masi con Canevel, da Oscar Farinetti con Tenuta Bricco Asinari e poi da altri big come Antinori, Frescobaldi e Tommasi, mentre a livello cooperativo spicca l’intesa tra Cavit e Terre d’Oltrepo per il rilancio di La Versa, storico brand della spumantizzazione pavese.
Spicca la quasi totale assenza dei fondi di private equity tra i compratori. Ciò dipende in parte dagli asset delle realtà vitivinicole (terreni, fabbricati e cantine), che alzano notevolmente il controvalore delle operazioni e limitano la possibilità di vendere con profitto nel breve/medio termine, e in parte da una scarsa attitudine delle stesse aziende, come sottolinea Denis Pantini (Wine Monitor Nomisma): “Le pmi del vino – afferma Pantini – non amano aprire il capitale a investitori esterni quando ciò implica anche una svolta manageriale. Spesso, ed è dimostrato dai fatti, preferiscono vendere. Quelle che hanno deciso di aprire a fondi non sono famiglie storiche del vino, bensì realtà di fondazione più recente, se non imbottigliatori puri”.