Paolo Parisi ha creato il modello di valorizzazione di un ingrediente considerato, prima di lui, poco più che una commodity. E ora tocca alla ristorazione.
Paolo Parisi non è più solo un nome di persona, nè quello di un semplice allevatore. Paolo Parisi, a suo modo, è diventato un brand, frutto di un’avventura imprenditoriale basata sul conferimento di valore a un prodotto che, nella vulgata comune, valore non aveva. Parliamo dell’uovo, il suo uovo, un’invenzione attraverso la quale ha negoziato una nuova percezione del cibo, del valore a esso associato e, conseguentemente, del prezzo che il consumatore è disposto a pagare per esso. Per comprendere come sia successo, dobbiamo partire da alcune considerazioni.
SCELTE CONTROCORRENTE
L’esigenza di quella che chiamiamo qualità è, per il mondo del cibo, un affare assai recente. Oltretutto, là dove questa viene perseguita correttamente, i costi sono molto alti e finiscono per comprimere i profitti. Ciononostante, il mondo continua ad aver fame dei prodotti e delle idee di Paolo Parisi che, in questo senso, rappresenta ciò che in marketing prende il nome di case history. La faccenda, tuttavia, è controversa. Alla domanda sulla replicabilità del suo modello imprenditoriale, Parisi risponde che “è possibile, ma che per riuscire in tal senso bisogna avere dentro un fuoco sacro, una volontà che è più che ostinazione: è follia. Non ci sono segreti nel mio lavoro, ma so per esperienza che, anche a donarla, la formula di questo successo non sarebbe applicata: comporta sacrifici, investimenti, nonché l’annullamento del confine tra tempo libero e tempo di lavoro”. In altre parole, per poter considerare di successo questo modello bisogna uscire dall’idea di successo imprenditoriale così come è inteso dalla nostra società; è per questo motivo che Paolo Parisi può esser considerato, tra le altre cose, un sovversivo. Sovversiva fu la scelta, negli anni ‘80, di abbandonare la professione di agente di commercio per ritirarsi nelle campagne di Usigliano di Lari, in Toscana, vivendo di pastorizia e agricoltura. Così nacquero Le Macchie, una tenuta di 140 ettari che diventarono in poco tempo asilo di un allevamento eroico, quello di un maiale di indole indomita e brada chiamato Cinta senese, le cui carni tornite e foriere di un grasso nuovo, marmorizzato, Parisi cominciò a vendere all’alta ristorazione. Fu un successo, che continua tuttora con l’incrocio della Cinta senese con altre razze ‘nere’ d’Italia, come la Casertana, la Mora romagnola, la Nera parmigiana. “Lo faccio per renderla più versatile – sottolinea – ma siccome sono uno ambizioso, questo successo, dovuto più al maiale che all’imprenditore, non mi bastava”.
L’INVENZIONE DELL’UOVO
Fu così che nacque un prodotto capace di conciliare imprenditoria e allevamento e che fosse pertanto in grado di aprire una nuova frontiera di reddito. “Così inventai l’uovo”, dice Parisi, e non è un caso che, in questo senso, ci sia stato un prima e un dopo Parisi. A cominciare dalla gallina: non una gallina qualunque, ma una Livornese, la razza più diffusa negli Stati Uniti, così chiamata perché da Livorno salpavano le galline sulle navi merci dirette in nordamerica. “La Livornese ha un carattere difficile e un bisogno smodato di proteine. Io potevo permettermi di allevarle perché a Le Macchie allevavo, tra le altre, anche le capre: così ho cominciato a dare alle galline il latte di capra; lo feci un po’ per praticità un po’ perché volevo dimostrare l’assunto de Il grande libro dell’autosufficienza di John Seymour”. Eppure, benché la professione di venditore fosse sempre stata nelle sue corde, va detto che il nuovo uovo non nacque quale esito di un attento progetto commerciale. “Non c’era alcun business plan – ricorda oggi Parisi – e lo studio di fattibilità era basato su una distribuzione piramidale al contrario. La Cinta senese mi aveva aperto le porte dei ristoranti due e tre stelle Michelin in Italia, dovevo partire da quelli ed essere in grado di lambirne la base. Dovevo allargarmi. Non solo lo studio di fattibilità ma anche il marketing, in un certo senso, l’ho fatto al contrario. Nel comparto food, infatti, quello delle uova era un mondo generico e generalista capillarmente raggiunto dal colosso Eurovo. Se il loro era il mondo del generale, il mio doveva essere quello del particolare”. E come tale fu interpretato anche dalla critica di settore. “Il primo articolo in merito fu scritto da Paolo Marchi ed ebbe come oggetto Cracco. Poi ci fu Massimiliano Alajmo, che riconobbe nei miei tuorli una texture e un sapore fuori dal comune. Ma la consacrazione arrivò con Stefano Bonilli il quale, amante della carbonara, con Roscioli apostrofò che il mio uovo era una spanna sopra agli altri”. Nacque così un fenomeno che da allora continua a conquistare chef, ristoranti, botteghe e gente comune.
PICCOLI NUMERI
I numeri, invero, sono piccoli, sono numeri da artigiano. “Al momento, il mio allevamento ha una capienza di circa tremila galline. In generale, mille delle nostre galline, posto che siano tutte al primo anno, ci consentono di ottenere fino a seicento uova al giorno. Tuttavia, e benché i miei tre pollai possano ospitare fino a mille galline l’uno, non lavorano mai tutti contemporaneamente, anzi, ne alterniamo i cicli produttivi per garantire la sanificazione degli ambienti attraverso quello che è chiamato vuoto sanitario. Oltre a questo, c’è l’acclimatamento delle nuove galline, che richiede fino a due mesi di non produttività. Il gioco è cercare di inserire i cicli produttivi in modo che non ci siano mai vuoti. Allo stesso tempo, non c’è mai ciò che in un’azienda si chiama pieno regime perché ciò nel mondo delle uova si tradurrebbe, poco dopo, con un livello produttivo pari a zero. Ho cominciato con due pollai ornamentali da 500 unità l’uno (a fronte dei tre “mobili” da 1000 unità di adesso, nda): allora un uovo lo vendevo a 500 lire, poi sono passato a 1000. Oggi, comprensivo di Iva, il mio uovo costa circa 1 euro. L’ho trovato rivenduto a 1 euro e mezzo come a 2 euro”. Va da sé, poi, che la ristorazione, trasformando l’uovo a marchio Paolo Parisi in piatto finito, contempli ricarichi ben più alti. A questo proposito la ripartizione geografica di distribuzione delle uova è piuttosto interessante: “Nel centro-sud le mie uova raggiungono botteghe di generi alimentari di alto livello come Roscioli e Liberati, a Roma. A nord, invece, i miei acquirenti sono per lo più ristoratori”.
PACKAGING E RISTORAZIONE
Nel tempo, gli sviluppi sono stati lenti ma costanti. “Sono quasi vent’anni che questo mio uovo ‘tira’. Ci sono delle criticità, è ovvio, ed è capitato di perdere fino a 12 mila euro per via di uova arrivate rotte a destinazione. Così è cominciata la sfida del packaging. Abbiamo realizzato una confezione simile a un cuscino, con compartimenti stagni, perché se un uovo si rompe finisce per sporcare gli altri. Ci sono voluti due anni di ricerche per produrla e siamo arrivati a un prodotto il cui unico limite è quello di occupare molto volume”. È per ovviare a questo problema che Parisi ha acquistato un furgone con la sua faccia sopra, immortalata da Oliviero Toscani: consegna in tutta Italia. Inoltre, accanto alle uova e grazie alla progenie di Paolo, Le Macchie sta diventando la base di studi e di ricerche in materia di tecnologia degli allevamenti: oltre alle capre da latte si allevano pecore di razza inglese e francese, sempre brade, da cui si ricava il saporitissimo agnellone. Sebbene il core business sia diventato progressivamente l’allevamento e la pastorizia, una parte dell’attività di Parisi consiste anche nella ristorazione, con il ristorante Il Pesce Piccolo situato nella marina di San Vincenzo, e nelle iniziative organizzate in azienda, con gli open day durante i quali racconta le tecniche di allevamento e cucina direttamente la sua pizza d’uovo e l’uovo al tegamino. “A proposito di pizza, che è la mia grande passione, ho in mente il progetto di aprire una pizzeria dove poter mangiare anche alle cinque del pomeriggio. Una pizza che torni a essere finalmente popolare, accessibile, la cui idea mi è venuta con i bambini, preparando per loro la mia pizza d’uovo”.
di Leila Salimbeni